
Don Carlo Migliori
Nel presentare il tema dell’anno, don Carlo ha evidenziato il metodo di preparazione del Sinodo su I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, fondato su un percorso di condivisione anche con i non cattolici. Intercettando “le diverse culture e tradizioni del mondo”, la Chiesa ha mostrato un volto “ospitale e inclusivo”, che ha valorizzato i talenti di ciascuno, a servizio del bene comune.
Nella Riunione presinodale di marzo sono stati coinvolti, con i social network (15 #per raccontarsi), anche giovani che non avrebbero potuto presenziare. Il Documento finale sottolinea che i giovani e la Chiesa (che si è fatta carico delle loro idee e proposte, dubbi e critiche compresi), non sono mondi così opposti. Ci sono valori comuni (come la famiglia, specie in Africa e in Asia).
Da parte sua, Enrico Mori, Presidente del Serra, invita i Club a porsi in ascolto dei giovani e a costruire service “che siano attrattivi per “loro” e non per “noi”. La crisi delle vocazioni aumenta le preoccupazioni dei Vescovi sui giovani di oggi, mentre il declino e l’invecchiamento dell’Occidente non risparmiano la Chiesa, che peraltro è in buona salute in altri Continenti.
L’Instrumentum laboris, stilato al termine della fase presinodale, ricorda che prendersi cura del “percorso di discernimento vocazionale” dei giovani è parte centrale della missione della Chiesa. A loro volta, i giovani la aiutano “a ringiovanire il proprio volto”. C’è un filo ideale, afferma il Papa, tra il Sinodo e il Messaggio ai giovani del Concilio Vaticano II, che li invitava a percorrere, con audacia, nuovi cammini “tenendo fisso lo sguardo su Gesù e aprendosi allo Spirito Santo”.
Parola chiave del Sinodo è il discernimento, un atteggiamento spirituale che ci fa vedere la realtà “con lo sguardo del discepolo”, un metodo che ci sintonizza “con l’azione dello Spirito”. E’ “apertura alla novità, coraggio di uscire”, nonchè strumento pastorale capace di proporre “cammini vivibili”, che sappiano “suscitare interrogativi senza suggerire risposte prestabilite”.
L’Instrumentum Laboris è articolato in tre parti: riconoscere, interpretare, scegliere. Nella prima si afferma che, sintonizzandoci, mediante l’ascolto, con i giovani, possiamo percepire le loro gioie e speranze, le loro tristezze e angosce. Essi ci chiedono di essere “a favore dei poveri, avere a cuore la questione ecologica, fare scelte visibili di sobrietà e trasparenza (…) audacia nel denunciare il male”, sia nella società civile che “nella Chiesa stessa”.
Nella seconda parte (interpretare), troviamo alcune chiavi di lettura sui temi sinodali. E’ significativa la riscoperta dell’esame di coscienza, che aiuta la persona ad avvertire la presenza di Dio e a“riconoscerne la voce nella concretezza della vita quotidiana”. Un esame, quindi, che non si limita “al riconoscimento di essere nell’errore o nel peccato”, ma ci aiuta a riconoscere i doni e i contributi che possiamo offrire, “anche se magari non pienamente all’altezza degli ideali”.
Ai fini del discernimento, l’accompagnamento assume varie forme, da quello vocazionale, (finalizzato a “liberare la capacità di dono e di integrazione … in un orizzonte di senso”), a quello spirituale, che si integra con la dimensione psicologica. Né va ignorata la sensibilità dei giovani ai temi sociali: corruzione, violenza, ingiustizia e diseguaglianze, persecuzioni religiose suscitano “in loro emozioni molto forti”. L’impegno sociale e politico diventa allora una sorta di vocazione, che “richiede di essere accompagnata, (…) per identificare i segni dei tempi che lo Spirito indica”.
In effetti, “il comandamento dell’amore”, nel prevedere “l’opzione preferenziale per i poveri”, ha una valenza sociale. Pertanto, l’impegno a costruire una società più libera e giusta facilita l’incontro con i non cattolici, e aiuta a riscoprire la fede e la dottrina sociale della Chiesa.
I giovani apprezzano i “testimoni luminosi e coerenti”, che si spendono per gli altri e sanno affiancare “chi si mette in cammino verso la propria forma di santità”. L’accompagnatore quindi, sacerdote o laico, è uno “in continua ricerca della santità”. Uno che sa ascoltare senza giudicare, che lavora per l’integrazione, mostrando che le differenze possono diventare un arricchimento. .
La terza parte (scegliere) analizza gli elementi utili a “comprendere a quali passi concreti ci chiama lo Spirito”, nell’intento di incontrare il Signore e “rispondere alla Sua chiamata alla gioia dell’amore”. Ciò nell’attuale periodo storico, nel quale tante incrostazioni di una società malata vanno riviste (nonostante il mito dell’Occidente, ancora diffuso, specie nei Paesi sottosviluppati).
L’accompagnamento va fatto anche per le tecnologie digitali, che se da un lato sono un utile “strumento di contatto pastorale” e di orientamento vocazionale, dall’altro richiedono un uso consapevole, per limitarne i rischi. Circa le dipendenze (alcool, droghe, gioco d’azzardo), che minacciano la vita,, occorre facilitare il reinserimento delle giovani vittime nella società (che “tende a stigmatizzarli e ghettizarli”), mediante le case-famiglia e le comunità di recupero.
E’un impegno, ha aggiunto don Carlo, che, non esime “dal promuovere una cultura della prevenzione”, perseguendo i narcotrafficanti e quanti speculano sui meccanismi di dipendenza. Analogamente, occorre “trovare le modalità perché il Sinodo” dia speranza ai giovani detenuti.
Circa i migranti, oggi l’Occidente assiste, impotente, a una nuova “tratta degli schiavi”. Nei limiti propri di ciascun Paese (da fissare a livello mondiale, in un’ottica di controllo dei flussi), il cristiano ha il dovere dell’accoglienza verso i migranti in difficoltà. E quelli che sono vissuti in “famiglie fragili e disagiate” devono trovare, nella Chiesa, una famiglia “in grado di ‘adottarli”.
Molti giovani, ha precisato il relatore, sperimentano “che solo la preghiera, il silenzio e la contemplazione offrono il giusto ‘orizzonte di trascendenza”, entro cui maturare le scelte vocazionali. Alcuni, poi, riscoprono la fede quando vengono “a contatto con la ‘Chiesa che serve’”. E ancora, è importante il dialogo con il mondo, specie “in ambito accademico e culturale”, dove i giovani, a volte, sono discriminati a causa della loro fede. In tale prospettiva, sono molto apprezzate iniziative come la “Cattedra dei non credenti” e del “Cortile dei Gentili”.
Infine, il documento accenna al tema della vocazione universale alla santità, “cifra sintetica e unificante della vita cristiana”, come mostrato dal “Signore Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione”. Papa Francesco afferma che “la santità è il volto più bello della Chiesa“. Il Signore ci vuole santi, chiede di non accontentarci “di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente”.
La storia della Chiesa è ricca di giovani santi (Bernadette Soubirous. Maria Goretti, Piergiorgio Frassati e tanti altri), il cui esempio ha una forte “carica profetica”, non di rado sigillata dal martirio. La loro vita “è la vera parola della Chiesa”. Ma il vero modello di santità è rappresentato dalla Madre del Signore: “nella sua capacità di custodire e meditare nel proprio cuore la Parola (cfr. Lc 2,19-51), Maria è per tutta la Chiesa madre e maestra del discernimento”.
Sergio Borrelli