Club di Genova Nervi.

Don Matteo Zoppi, un giovane sacerdote molto impegnato nel mondo giovanile, ha intrattenuto i serrani sul tema dell’anno

Nell’incontro di novembre, molto partecipato, don Matteo Zoppi ha ripreso il tema dell’anno (I giovani: una sfida per la Chiesa; la Chiesa: una sfida per i giovani), che era stato presentato, al Serra di Genova Nervi, dal Cappellano, don Carlo Migliori, durante il primo incontro dell’anno.

Don Matteo, dato che un’esposizione sistematica era già stata presentata da don Carlo, è tornato sul tema con spunti e osservazioni puntuali, su aspetti di particolare attualità, Le riflessioni svolte, oltre a richiamare le conclusioni del recente Sinodo dei vescovi, sono frutto della sua esperienza di docente e di educatore, che lavora tra i giovani e cerca di agevolarne il dialogo con la Chiesa .

Oggi c’è la tendenza a dissociare la Chiesa dai giovani, tanto che ci siamo abituati a un cristianesimo vecchio, per anziani. In realtà, ha sottolineato don Matteo, la Chiesa ha anche un volto giovane. I giovani ci sono, anche se si vedono poco, a differenza degli anziani; forse lasciamo loro poco spazio, dobbiamo ascoltarli di più, soprattutto creare occasioni di incontri. Pur non sottovalutando il ruolo dei mass media, il Vangelo non può essere proposto in modo efficace con degli spot, ma anzitutto mediante incontri di persone.

Non a caso, dove vi è maggiore facilità a instaurare relazioni, le realtà ecclesiali vedono fiorire associazioni e movimenti giovanili: in esse i giovani, che amano incontrarsi, sono presenti e partecipi. Ciò trova conferma nella vitalità che hanno, in questi contesti, anche associazioni di impegno civile, culturale e sportivo (Croci Rosse, Croci Verdi, FAI, ecc.).

Don Matteo ha poi rilevato che i sacerdoti sono sempre meno presenti in ambiti nei quali, peraltro, è timida pure la presenza dei laici impegnati. Ad esempio, nella scuola, la presenza culturale dei laici cristiani oggi è insufficiente, compresi gli insegnanti di religione, non sempre adeguatamente preparati, e soprattutto non sempre testimoni credibili. Vi sono temi (come la normativa sull’aborto) che, in assenza di un’efficace testimonianza cristiana, sono presentati come una conquista sociale. E così, si sorvola sulle incongruenze della legge 194 e prevale la convinzione che, nei primi tre mesi, al feto non debba essere riconosciuto il diritto primario alla vita.

Dunque, affinché Chiesa e giovani non siano percepiti come due mondi staccati, ha rimarcato il relatore, c’è un cammino da intraprendere insieme, anche alla luce del fatto che ci muoviamo in un contesto in cui la maggior parte dei giovani fanno parte della Chiesa: sono battezzati, hanno ricevuto l’Eucaristia e celebrato almeno qualche volta il Sacramento del perdono. Di fatto, diversi di loro non sono più legati (affettivamente) alla comunità, ma, in forza del Battesimo, delle origini cristiane e della giovane età, sono aperti alla provocazione e ad una consapevole adesione alla fede.

I giovani, pertanto, hanno bisogno di persone con un’identità certa, che sappiano dialogare a partire dalla concretezza della loro vita, non … dai massimi sistemi, cioè da temi astratti e lontani. I ragazzi si pongono delle domande, ma spesso gli adulti non sanno dare le risposte giuste, o meglio le provocazioni giuste a quelle domande. Né va dimenticato che la fede non può essere ridotta a un insieme di cose da fare, ma è prioritario prestare attenzione alle persone. La fede è, prima di tutto, incontro con Gesù e spesso, come diceva don Luigi Giussani, ci dimentichiamo di parlare di Lui.

Al fine di evitare la pericolosa trappola del relativismo, è necessario prevedere qualche filtro aggiuntivo, avendo presente che occorre sempre rimanere ancorati alla realtà. I giovani sono incuriositi non tanto da quanto capiscono, ma soprattutto da quanto percepiscono come provocante. In tal senso, diventa una sfida, per noi adulti, riproporre e attualizzare, nell’incontro con loro, valori che possono sembrare arcaici, come il pudore, l’intimità, il riserbo, la solidarietà, la ricerca del senso. Certo, il giovane accetta di misurarsi e di interiorizzare i valori forti solo quando sono proposti da persone credibili e realizzate, e li accoglie solo quando ne sperimenta la forza e il senso.

Ecco, se proponiamo un percorso educativo, che li aiuti a crescere, possiamo essere esigenti, a condizione che la nostra testimonianza sia vera. Stare con loro spesso ci spiazza, smaschera le ipocrisie, mette in discussione tante false certezze. Ma se lasciamo lo spazio che meritano, i giovani da problema diventano risorsa e possono rinnovare, come avviene al di fuori dell’Occidente, il volto della Chiesa. E’ un traguardo possibile, se tutti fanno la loro parte. Come adulti, dobbiamo recepire il loro bisogno di ascolto, spiegando che, comunque, il Vangelo si attua sempre attraverso la Croce.

In sintesi, tra la Chiesa e i giovani non dev’esserci contrapposizione, ma inclusione reciproca. Non dialettica sterile e distruttiva; non princìpi astratti, ma un cammino insieme, durante il quale troviamo il coraggio di prendere sul serio le loro provocazioni. Devono riconoscere, in noi, delle identità precise, incarnate, non dei fatui stereotipi. Del resto, Gesù non è stato tenero con gli ipocriti e i sepolcri imbiancati, come quei dottori della legge che caricano “gli uomini di pesi insopportabili” , e quei pesi non li toccano “nemmeno con un dito!” (Lc 11, 46).

Cerchiamo, quindi, occasioni di incontro vero, non formale, pur non negando il ruolo della forma, che veicola la sostanza e, sotto certi aspetti, è indivisibile dalla sostanza. Ma, se vogliamo tener fermi i valori, la forma a volte va adeguata: per intercettare i giovani serve un codice nuovo. Non si tratta di saper parlare bene, ma di fissare le priorità dell’annuncio, che deve convergere sul mistero di Gesù crocifisso (“Anch’io, fratelli, … non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso” 1Cor 2, 1-2).

Ed è importante che il giovane percepisca che l’adulto gli vuol bene, mentre gli annuncia Gesù morto e risorto, e non solo che è disponibile all’ascolto e accetta punti di vista diversi dal proprio. Un adulto credibile, che sappia voler bene e farsi voler bene, lascia il segno. In tal senso, ci sentiamo impegnati ad educare alla fede e alla crescita, anzitutto con il nostro modo di porci e di vivere e, di conseguenza, con quel che diciamo.

Sergio Borrelli