Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. UN VIDEO DI SERRA ITALIA.

“Datevi al meglio della vita”

GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI. DOMENICA 3 MAGGIO

Il Presidente Nazionale, nell’intento di promuovere la partecipazione di tutti i Serrani alla Giornata Mondiale di preghiera per le Vocazioni, e in particolare alla VEGLIA DI PREGHIERA di Sabato 2 Maggio, ha voluto la realizzazione di un video che possa stimolare la riflessione e la preghiera.

Ringraziamo il nostro Consulente Episcopale Sua Eccellenza Jorge Carlos Patron Wong, don Michele Gianola direttore dell’Ufficio Nazionale per le Vocazioni della CEI, Enrico Mori presidente di Serra International Italia e Paola Poli presidente eletto, i Governatori dei Distretti, il Seminario Regionale di Molfetta, e il direttore responsabile de “Il Serrano”, per aver contribuito alla realizzazione di questo video.

Nell’augurare una buona visione, invitiamo tutti a sentirsi particolarmente uniti in questo difficile momento di sospensione delle attività della nostra associazione.

Club Siena. Riunione Formativa e di Preghiera in Videoconferenza in Pandemia da Coronavirus

L’Emergenza Sanitaria “ Pandemia da Coronavirus”  in corso in Italia e nel Mondo ha costretto la popolazione  a stare in casa per via del lockdown ed ha indotto ampie fasce di persone  ad utilizzare, spesso per la prima volta, strumenti digitali che consentono di collegarsi con il mondo esterno, anche per proseguire la propria attività. Questi social media  svolgono un duplice ruolo sia di strumento di informazione che di mezzo di contatto con altre persone come amici, parenti, colleghi di lavoro o altri.

La pandemia da Coronavirus sta modificando inevitabilmente le nostre abitudini di vita e purtroppo continuerà a farlo, compreso il nostro atteggiamento online, con un notevole aumento dell’uso dei social media.

Dalle numerose telefonate , messaggi, Email  intercorse tra i Soci del Club Serra di Siena durante questo periodo di Quarantena si era palesemente evidenziato un senso di abbandono, isolamento, di tristezza, di voglia di Convivialità sia materiale che spirituale.

La libertà è come l’aria: ci si accorge quando comincia a mancare!... Continua a leggere

Lettera di don Michele Gianola ai serrani

Cari amici e care amiche del Serra Italia,

mai come quest’anno penso che abbiamo bisogno – per questa Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni – di sostare in silenzio, per approfondire le cose, per non lasciarci travolgere dal turbinio di parole, di emozioni, di turbamenti che accompagnano questo tempo. È necessario fermarsi, sembra paradossale perché stiamo in casa da quasi due mesi, per poter ad andare al fondo delle cose, imparare ad ascoltare la voce dell’umanità e quella del pianeta per cogliere i semi di bene che lo Spirito ha sparso in questo deserto.

È strano e alquanto paradossale come questo tempo somigli per tanti di noi a quello dei primi racconti della Pasqua. «Mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano […] venne Gesù» (Gv 20,19). Anche noi siamo in casa, con le porte chiuse e nel nostro cuore, come in quello dei discepoli, abitano paura, angoscia, delusione, speranza, desiderio di una vita nuova e non soltanto rinnovata. Mi affascina come gli incontri con il Risorto avvengano in luoghi quotidiani: un sepolcro, una locanda, una barca di pescatori. Lo incontri là, dove meno te lo aspetti: attorno alla tua tavola, in due chiacchiere sul divano, in una telefonata tra amici, in una delle mille videochiamate di gruppo di questo periodo.

Il Signore è là, nascosto nella ferialità dei giorni, racchiuso dalla nostra storia, nei fatti della vita di tutti, in quel quotidiano – mai banale – che somiglia ad una tela della quale egli costituisce l’ordito e tesse, insieme a noi e alle sue creature – tra le quali annoveriamo anche il tempo (cfr. Gen 1,14) e la natura – la trama delle nostre vite.

La spola di questi giorni ha portato con sé molta sofferenza e tanti cari hanno compiuto il loro ultimo passaggio; ci ha spogliati di molte cose, ci ha spinto all’essenziale, a chiederci che cosa davvero conti nella vita, quali siano le cose importanti e quali le superflue ci ha costretto – e ancora ci costringe, nostro malgrado – al discernimento per cercare di intuire ciò che è buono e ciò che non lo è, ciò che è da abbandonare o da custodire, da tenere o da lasciar andare.

La spola di questi giorni è corsa veloce anche se talvolta il tempo sembrava non passare mai, le tenebre mai diradarsi eppure noi siamo stati costretti a rallentare, riconoscere la nostra fragilità e impotenza, ad accorgerci che ci siamo illusi a credere che tutto potesse essere controllato, gestito, governato dalle nostre mani. Abbiamo capito che da soli non ci si salva, che siamo tutti sulla stessa barca e che ha la forma di un pianeta fluttuante nello spazio e che è l’unico che abbiamo e che ci è affidato perché ce ne prendiamo cura, insieme.

Attraverso queste e molte altre cose che ciascuno di noi può imparare ad ascoltare, abbiamo intuito che nessuno di noi è nato da solo e che nessuno è fatto per essere solo, siamo intrecciati in una grande rete di relazione, tra mille connessioni che noi credenti conosciamo come Corpo di Cristo. Abbiamo imparato che la vita dell’uno è legata alla vita dell’altro (Gen 44,30) e che la nostra vocazione è sempre insieme a qualcun altro e a servizio di qualche altro. Perché alla fine e al nocciolo delle cose, l’unica cosa – mi perdonerete la ripetizione – che rimane è la carità. Che ciò che davvero conta sono le relazioni buone, l’essere guardati e riconosciuti, ascoltati, interpellati, coinvolti, curati, amati. Che della vita c’è, in effetti, un’unica via, quella migliore (Chv 143) di tutte (1Cor 13) ed è l’unica che resta e ciò per cui ogni vita è fatta: amare.

Vista così, la vocazione è come camminare su un crinale, tra il desiderio di donarsi e il bisogno di trattenersi, tra la spinta ad amare e la brama di essere amati, tra la scelta di spendere la vita e l’esigenza di custodirla. Tesi tra queste polarità, camminiamo nella storia insieme con Dio, consapevoli di scivolare solo sull’uno o sull’altro dei versanti dell’amore. Delle cadute tutti noi portiamo i segni e le ferite ma soltanto chi ha provato la fatica del camminare ha imparato a guardare all’altro come un compagno di viaggio, un amico di cordata di quella grande opera che abbiamo da compiere insieme: fare che le nostre cose di terra, siano sempre più simili al Cielo (Mt 6,10).

don Michele Gianola

m.gianola@chiesacattolica.it

 

Roma, 27 aprile 2020

Vocazione e coronavirus

I volti di alcuni dei sacerdoti morti in queste settimane per il coronavirus – Combo Avvenire

La Giornata Mondiale di preghiera per le Vocazioni che ricorre Domenica 3 maggio, e le innumerevoli testimonianze di sacrifico e di servizio in questi giorni di lotta al coronavirus, sono due eventi che rendono più che mai attuale l’argomento della vocazione. La Giornata Mondiale di preghiera porta alla ribalta la Vocazione che tradizionalmente indica la Chiamata alla vita sacerdotale o consacrata, mentre gli eroi del coronavirus testimoniano l’universale “vocazione al servizio”.

Abbiamo oggi davanti agli occhi l’eroico spirito di abnegazione e di servizio delle tante persone che svolgono un ruolo di assistenza (sanitaria, spirituale ed economica) alle vittime di questa terribile pandemia. Medici, infermieri, forze dell’ordine, volontari, e tra questi anche molti sacerdoti e religiosi sono in prima linea a costo della propria vita per assistere i malati, i moribondi e le loro famiglie (oltre 100 sacerdoti sono morti nella vicina Italia), altri invece partecipano in silenziosa ed intensa preghiera (pensiamo per esempio ai monasteri di Clausura). Questa è la vocazione al servizio, che già S. Giovanni Paolo II così descriveva: “La vocazione ad amare, intesa come piena apertura e solidarietà verso il prossimo, è la forma più basilare di vocazione”.... Continua a leggere

Manuel Costa

Serra Club Lugano

Maggio, mese mariano.

E’ tradizione della Chiesa che il mese di maggio sia dedicato all a devozione della Santissima Vergine Maria. Nel celebrare la santità di Maria, la Chiesa la sceglie come immagine di fede nel cammino della vita e fa sì che la nostra esperienza cristiana diventi una forte testimonianza del divino. Maria fu prescelta da Dio, fra tutte le donne, a compiere l’incomparabile missione di Madre di Gesù e di Madre universale di tutte le creature.

La conoscenza di Maria serve a far conoscere meglio Gesù. Più si conosce Maria, meglio si comprende e si ama Gesù.... Continua a leggere

 

Cosimo Lasorsa

«Credenti e non credenti, tutti sono abitati da Dio». Intervista alle Clarisse di Cademario.

Intervista alle Clarisse di Cademario

 

«Il Papa, nel momento di preghiera del 27 marzo, ci ha detto: «La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti». La nostra quotidianità non è cambiata molto, ma sono cambiate la coscienza e le domande con cui facciamo le solite cose». Questo ci dicono «ad una sola voce» le sorelle Clarisse di Cademario, dal loro monastero di clausura.

«Stiamo vivendo la preghiera e il servizio silenzioso, pilastri della nostra vita, – continuano le sorelle – con una consapevolezza e una profondità maggiori. La clausura è diventata ancora più stretta e i contatti con l’esterno si sono ridotti al minimo. Ci vorrà tanto tempo per comprendere e scoprire tutta la portata di questa vicenda: ci colpisce come in un attimo ogni essere umano, senza distinzioni, sia stato toccato e riportato, più o meno consapevolmente, alla propria verità costitutiva: siamo creature, non ci facciamo da noi stessi e non bastiamo a noi stessi. Dipendiamo. Anche noi con tutto il Popolo di Dio, da tempo non possiamo più celebrare l’Eucarestia e così partecipiamo attraverso la televisione alla Messa di Papa Francesco e del Vescovo di Lugano vivendo il digiuno eucaristico nei giorni feriali e facendoci educare dalla «Comunione spirituale».

Ci mettiamo quindi in atteggiamento di ascolto della loro esperienza monastica ispirata alla povertà evangelica vissuta dai Santi Chiara e Francesco, una vita essenziale, come quella che stiamo riscoprendo un po’ tutti in queste giornate, non facili per nessuno.

Sorelle, durante questa emergenza coronavirus la gente come vi può raggiungere?

Un tempo di prova, prova i legami più veri. I contatti con le persone si sono trasformati, ma non sono venuti meno, stanno trovando altre forme. Molti amici e parenti sentono il bisogno di darci un colpo di telefono per assicurarsi che stiamo bene e anche chi chiama o ci scrive per affidarci i drammi, i lutti e le grandi domande che pesano nel cuore, spesso poi ci domanda se abbiamo bisogno di qualcosa; anche con queste restrizioni non ci mancano gesti di vicinanza, così ci scambiamo semi di speranza. E’ davvero uno scambio di doni: loro ci chiedono preghiere, ma vogliono anche darci qualcosa, fosse anche solo un piccolo segno di affetto. Questo era vero anche prima, ma oggi c’è una fantasia, una creatività che sono nuove, inedite: in noi e in loro.

Quali domande arrivano in questo tempo al monastero, che è per molti un luogo di amicizia e confronto?

In questi giorni, più che mai, ci sentiamo in comunione profonda e reale con tutti i cuori affaticati, provati, che vivono la solitudine e con tutti coloro che stanno spendendo la propria vita per i fratelli. Respiriamo da parte di chi ci raggiunge, tutto il desiderio di vicinanza, di condivisione e di speranza. L’esordio di ogni conversazione è chiedersi reciprocamente: «Come state?» che non ha nulla di formale in questi tempi, ma che dice l’affetto, la cura e la familiarità. Sono racchiuse in questa semplice domanda tutte le dimensioni del nostro esistere: spirito, anima e corpo, insomma tutto di noi che chiede, prega, supplica, piange e però riscopre anche la grazia dell’oggi: il sostegno, la comunione, la fede.

Oggi molte famiglie vivono in casa, il balcone diventa il luogo privilegiato per il gioco dei bambini, qualcuno ha il giardino, tuttavia la convivenza prolungata mette a dura prova le relazioni interpersonali. Avete qualche suggerimento pratico, a partire dalla vostra scelta della clausura?

Sicuramente l’esperienza della prossimità, del «non poter scappare» dalla presenza dell’altro è una bella opportunità e insieme una sfida: ci fa accorgere di noi, di come siamo – e questo non è sempre piacevole! –, ma permette anche di scendere sempre più in profondità, lì dove c’è quel punto sorgivo di unità che non è mai fabbricato da noi o stabilito dalla comunanza di gusti, sensibilità, storie, ma è la nostra comune condizione di creature, di figli generati e continuamente rigenerati da un Amore infinito; tutti «nasciamo» lì, e solo da lì rinasce sempre di nuovo la possibilità di guardarci in un altro modo. Riconoscere e accogliere le mie fragilità, paure, fissazioni… mi permette di accogliere con più benevolenza le tue: so che stai combattendo la mia stessa battaglia e allora possiamo sorridere insieme, provando a lasciar correre sulle cose non essenziali, tacendo un po’ di più … e chiedendo al Signore il suo sguardo.

Dio in questo tempo può diventare un soggetto a cui pensare, anche per tanti che si ritengono non credenti. Come rivolgersi a Dio, se non lo si è mai fatto prima?

La vera domanda è: «Come non rivolgersi a Dio?». I cieli e la terra sono pieni della gloria di Dio. Cielo, terra, tu, io, tutti e tutto, siamo abitati da Dio. Dove andare lontano dal suo Spirito, dove fuggire dalla sua presenza? «Se salgo in cielo là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti». Come pregare? Forse basta respirare.

Il respiro è la prima preghiera, cordone ombelicale che ci collega al grembo di Dio, l’universo. Inspirare-espirare. Vita ricevuta e ri-offerta. Amore ricevuto e ri-offerto. All’inizio dei tempi lo spirito aleggiava sul volto delle acque, e fecondava, apriva alla vita e alla luce il grembo informe dell’universo. Anche ora questo avviene, sta avvenendo invisibile nel silenzio della realtà, nel silenzio del dolore. «Ma egli ruppe la scorza del dolore in pezzi e distese alte le mani come per trattenere il Dio fuggente» (R. M. Rilke).

C’è pure chi sente la sua fede messa in crisi da un lutto improvviso. Quale parola di consolazione può ricevere e a quale speranza può guardare?

Le parole che diciamo nel tentativo di consolare se non nascono da un profondo silenzio e preghiera, da un’autentica compassione e vicinanza, rischiano di essere vuote. Ma non ci è risparmiato il rischio di pronunciare una parola, una parola che non sia nostra, una parola umana che faccia risuonare la Sua Parola di vita eterna. Anche oggi a chi attraversa la notte della fede Gesù ripete «Ho pregato per te, che non venga meno la tua fede» (Lc 22,32). Il lutto può essere l’opportunità per incontrare il Signore, per gridare dagli abissi attendendo che Lui ci prenda per mano e ci trascini nella luce della sua Pasqua. Gesù non ci toglie il dolore, ma ci ha promesso di essere con noi e di portarci con sé nel grembo della Trinità, dove già possiamo vivere nella gloria e nella comunione con quanti ci hanno lasciato.

Quali sono i segni di speranza che cogliete, nonostante tutta questa sofferenza?

La nostra speranza è Gesù, sempre e comunque! La luce dell’imminente Pasqua ci mostra tutto lo splendore del Padre della Vita, che non ha permesso alla morte di vincere. In questo tempo di tenebre, la luce di un immenso bene sta giganteggiando sull’umanità: vediamo tanta grandezza nei cuori umani, è questa la Vita che vince!

La nostra speranza è che lo Spirito Santo ci aiuti a custodire la memoria del patrimonio di bene che vediamo oggi e di cui siamo capaci: è un tesoro cui sempre possiamo attingere e che possiamo

alimentare. E poi la memoria del «noi», la coscienza che la mia vita è legata a quella degli altri, che insieme formiamo un corpo e possiamo aver cura gli uni degli altri. Lì appare la Vita vera, luminosa, donataci da Gesù Risorto.

Volteremo pagina, certo, ma non buttiamo via il libro!

 

Cristina Vonzun

Online il numero della rivista Vocazioni

IN QUESTO NUMERO

Chi è come il Signore, nostro Dio? (Sal 113,5)

di Laura Invernizzi

È una domanda retorica: chi può essere come Dio? Eppure, questa domanda, che tra lode e meraviglia affiora, in varie forme, dalle pagine bibliche e che costella il dialogo della preghiera di coloro che fanno esperienza di Dio, racchiude un paradosso. Da un lato essa è espressione dell’incomparabilità e della…

Copertina

Perché giudicarmi?

di Federico De Rosa

Editoriale

Humor

di Michele Gianola

Dossier

Coltivare la terra dell’esistenza

di Gaia De Vecchi

Inserti

«Datevi al meglio della vita» (ChV 143)

di La Redazione

Dossier

La storia è maestra di vita

di Lorenzo Mancini

Dossier

Umiltà e umorismo

di Umberto Folena

Dossier

I colori dell’umiltà

di Maria Francesca Righi

Dossier

Dal fango alla creta

di Luca Buccheri

Rubriche

Sempre e solo Gesù Cristo

di Massimo Pampaloni

Fonti

La tomba vuota

di Donato Ogliari

Inserti

L’affanno degli ultimi

di Sergio Perugini, Eliana Ariola

Rubriche

Margherita Catez

di Lodovica Maria Zanet

Inserti

La memoria

di Raffaella Bencivenga, Daniele Wlderk

Inserti

La memoria – Attività laboratoriali

di Raffaella Bencivenga, Maria Grazia Vergari, Daniele Wlderk

Rubriche

Monaci, preti, sagrestani e missionari al seguito di Charles de Foucauld

di Oswaldo Curuchich

Fonti

La vocazione del Geraseno

di Charles De Foucauld

Rubriche

Il fumetto

di Silvio Grasselli

Media

Il fumetto – Approfondimenti

di Maria Mascheretti, Silvio Grasselli

Inserti

Speranza, fondamento di vocazione

di Emanuela Vinai

Rubriche

Cammino del Volto Santo

di Gaia Martina Ferrara, Gionatan De Marco

Media

04. Egli vive

di Sorelle Clarisse di Bergamo

Media

03. In amicizia con Cristo

di Sorelle Clarisse di Bergamo

Humor

di don Michele Gianola

«Sapete perché gli angeli volano? Perché si prendono alla leggera!» (G. Chesterton). Intrecciare umorismo e vocazione, a prima vista può apparire decisamente bizzarro. Eppure, la parola latina humor porta con sé il significato di succo, liquido, liquore e deriva da humere, essere bagnato, umido. In fondo, la medesima radice di humus, quel miscuglio di sostanze organiche che impregnano il terreno rendendolo fecondo.

Come non pensare all’acqua nella quale siamo stati immersi il giorno del nostro Battesimo e nella quale la nostra terra polverosa – la nostra ‘adama – si è inzuppata dello Spirito di Dio come un biscotto per colazione. Come non ricordare quello sputo divino (Gv 9,6) che ha guarito gli occhi al cieco impastando il fango di una nuova creazione; come non immaginare quel vento caldo e umido – così il sapore del termine ebraico – soffiato nelle radici del primo fantoccio di uomo (Gen 2,7) per renderlo vivente.

Anche umiltà viene dalla stessa radice: rimanda alla terra. Proprio scoprendosi terra, mischiandosi nella comune pasta del mondo, sentendosi «intimamente uniti a tutto ciò che esiste» (cf. Francesco, Laudato si’, 11) riconosceremo la nostra vocazione: il contributo originale che ciascuno di noi può dare, la missione che siamo, il piccolo o grande tassello che nella storia va a comporre – insieme agli altri – il grande mosaico dell’opera di Dio.

Sentirsi parte del tutto – fatti di terra – ci permette di guadagnare la giusta misura di noi stessi: un’idea né troppo grande, né troppo piccola di sé, per imparare a non presumere di se stessi ma anche a non esimerci dall’assunzione delle nostre responsabilità, dalla nostra vocazione. «Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con spirito positivo e ricco di speranza. Essere cristiani è gioia nello Spirito Santo (Rm 14,17) […] per cui alla carità segue la gioia» (Francesco, Gaudete et exsultate, 122).

Coraggio, allora! La giusta misura di se stessi è anzitutto quella del riconoscersi figli. La scoperta che da soli o gli uni contro gli altri la vita torna ad essere fatta di polvere soltanto, si secca, si inaridisce, muore. Si tratta di coltivare il Buon Umore, lasciarsi versare nel grembo (Lc 6,38) della nostra persona e delle nostre comunità l’acqua buona dello Spirito senza avvelenarla o renderla nuovamente stantia con il peccato, l’ambizione, la solitudine, la divisione.

Club dell’Aquila. Essere serrani: storia, finalità, prospettive

E’ stato l’ultimo incontro prima dell’emergenza per il coronavirus, quello che ha visto riunito martedì 3 Marzo, il Club di L’Aquila, nella suggestiva atmosfera del Convento di San Giuliano dei Frati Minori Francescani, fortemente voluto dalla Presidente Rita Leonardi come momento di Informazione – Formazione per i nuovi Soci e tutti coloro che, di recente, si sono avvicinati per conoscere il nostro Club ed il movimento Serrano in generale.
Accolti da Padre Marco Federici, abbiamo potuto godere di una visita guidata all’interno di una struttura che ospita tesori artistici di grande valore e conserva intatto il primario  “ Conventino “, risalente al 1400.
Ad un breve momento di raccoglimento hanno fatto seguito gli interventi. La Presidente ha ricordato la figura del Santo ispiratore e, di Serra International, ha illustrato la struttura, gli scopi, gli intenti, le difficoltà, i bisogni correlati alle esigenze e carenze del territorio e, di contro, la concretezza dell’impegno serrano e la formazione come necessaria per testimoniare con coerenza la Fede cristiana; Formazione, nel nostro caso, affidata alla competenza teologica dell’Assistente Spirituale del Club, Don Carmelo Pagano Le Rose.
Il Socio fondatore, Giovanni Santucci, attuale G.H. di Sua Santità ha ripercorso le tappe dalla nascita del Club (Charter del 1976 ), cui dette impulso l’allora Arcivescovo dell’Aquila  Carlo Martini, che ne celebrò l’inaugurazione con il Cardinale P, Palazzini.
Il susseguirsi di Presidenze prestigiose, da parte di uomini di grande cultura ed impegno cattolico, è ampiamente documentato da una ricostruzione personale di articoli dattiloscritti, che Giovanni Santucci ha voluto donare alla Presidente per il Club.
I ventisei anni che vanno dal 1986 al 2002, sono stati ricostruiti da Walter Capezzali, Serrano doc che, con la sua grande professionalità in ambito giornalistico e storico ha dato un contributo importante non solo al Club locale ma al Serra Nazionale ed Internazionale; Venne infatti a lui affidata la direzione, per ben 16 anni, del periodico nazionale “ Il Serrano “, che lo vide impegnato come editorialista e direttore.
La risonanza di personalità ed attività di grande rilievo, fece sì che si alternassero nei Convegni aquilani, personaggi come Sergio Mattarella, attuale Presidente della Repubblica e Oscar Luigi Scalfaro.
Il Primo Congresso Nazionale del Serra, che si tenne a L’Aquila in coincidenza con il sesto centenario della nascita del nostro Co-Patrono, San Bernardino da Siena, fu organizzato dal quarto Presidente aquilano Dott. Luigi Antenucci.
Sotto la sua presidenza nel 1980, furono ammesse come “Socie aggregate “, per la prima volta in un club esclusivamente maschile, le donne.
Il Club di L’Aquila fu il primo, fra i Club Service, a superare la differenza di genere.
Per concludere, il Dott. Capezzali, ha omaggiato i presenti con la raccolta, graditissima, degli “ Editoriali “ dei suoi ventisei anni di attività serrana.
Le integrazioni all’aspetto formativo e le conclusioni sono state affidate alla competenza di Paola Poli, Presidente Nazionale Eletta che ha proposto, in maniera articolata ed esaustiva,  le linee di un discorso più ampio sulla struttura e l’organizzazione del Serra Nazionale, evidenziandone l’impegno reale per la diffusione della cultura cattolica, la cura nel tracciare le linee guida generali e la scelta delle tematiche annuali, la vicinanza alle problematiche dei singoli Club pur nel rispetto delle autonomie locali.
La Dott. Poli, ha poi ribadito la necessità della vicinanza ai sacerdoti ed ai consacrati in genere, come servizio, ed ha concluso, sottolineando la necessità della continuità tra passato e presente in una prospettiva di crescita, perché la nostra storia parte da basi solide fatte di passioni consolidate, di determinazione e di coraggio, che vanno  ben  al di là di inutili protagonismi.
Una semplice ma partecipata conviviale ha concluso la serata.
Marilena Cammà

Task Force ministeriale “Donne per un nuovo Rinascimento”: intervista a Suor Smerilli

Genio femminile al servizio del bene comune

Dodici donne, tra cui economiste, ricercatrici e imprenditrici sono chiamate, attraverso una task force voluta dal governo italiano, a formulare proposte per ricostruire l’Italia dalle macerie della pandemia. Tra loro c’è suor Alessandra Smerilli, consigliere dello Stato della Città del Vaticano

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

Rilanciare il motore sociale, culturale ed economico dell’Italia dopo questo periodo di grave emergenza, non solo sanitaria, innescata dalla pandemia. È questa la finalità della task force “Donne per un nuovo Rinascimento”, voluta dalla ministra della Famiglia e delle pari opportunità Elena Bonetti per elaborare proposte in grado di far ripartire il Paese. Fanno parte di questo gruppo di lavoro, guidato da Fabiola Gianotti direttrice del Cern di Ginevra, dodici donne impegnate in vari ambiti, tra cui quello scientifico e umanistico. Tra le esponenti di questa speciale equipe, che mercoledì scorso si è riunita per la prima volta in videoconferenza, c’è anche suor Alessandra Smerilli, docente di Economia all’Auxilium e consigliere dello Stato della Città del Vaticano. Ai nostri microfoni spiega l’obiettivo dell’iniziativa

Ecco l’intervista a suor Alessandra Smerilli

R. – La task force si è posta, come obiettivo, quello di un piano di ripartenza per il Paese cercando di mettere in campo risorse femminili che possono essere messe a disposizione in questo momento.

Come si prepara la rinascita dopo la catastrofe, anche economica, provocata dalla pandemia?

R. – In questo momento è difficile immaginare quando e, in che modo, si potrà ripartire. Parlo per l’Italia ma anche nel resto del mondo c’è tanta incertezza.  Il primo punto per preparare la rinascita è quello di osservare, leggere e analizzare bene la situazione in cui ci troviamo. E cercare di vederla, almeno per quanto mi riguarda, dal punto di vista dei più deboli. E quindi, poi, provare a mettere in campo le risorse che in questo momento possono essere tirate fuori e cercare di ragionare tutti insieme per il bene comune. La cosa peggiore che potrebbe accadere dopo questa pandemia, è che non vengano per esempio interrotte le catene di iniqua distribuzione della ricchezza.

In questo periodo così complesso e scosso dalla pandemia, gli interrogativi spesso riguardano, soprattutto, il tempo presente. Ma domande altrettanto cruciali sono quelle che si legano al futuro. Quali sono le opportunità e le sfide che il mondo dovrà cogliere ed affrontare per vivere un vero rinascimento quando, finalmente, sarà superato questo momento di emergenza?

R. – Le opportunità da cogliere sono quelle che già stiamo vedendo in questo momento. Io sono docente universitaria e tutto quello che pensavamo di dover fare e che non avevamo iniziato a fare, come l’avvio della didattica a distanza, siamo stati costretti a farlo nel giro di due giorni. Abbiamo visto che non solo è possibile, ma è anche un bel modo per restare in contatto con gli studenti. Questo vale per il mondo universitario ed anche per tanti tipi di lavori. Il potenziale dato dalle nuove tecnologie e dalle capacità di connessione, ci consentono di poter studiare anche modi diversi di lavorare, che siano anche più rispettosi, forse, della terra e della natura. Le nuove tecnologie consentono, infatti, di doversi spostare meno, anche se questo non è possibile per tutti i lavori. Penso che queste siano alcune delle opportunità che possiamo cogliere. Le sfide sono legate al fatto che, come per la salute questo virus danneggia i più fragili e nello specifico le persone più anziane, allo stesso modo questo fermo economico – che genererà presumibilmente gravi recessioni – andrà a danneggiare maggiormente le persone più deboli e con meno tutele. Allora la stessa energia che stiamo impiegando per cercare di salvare vite umane, motivo per cui ci stiamo fermando anche economicamente, dovrà essere impiegata per ripartire in modo che i più deboli non vengano messi da parte. Ma ci dobbiamo veramente sentire tutti insieme fratelli nell’affrontare queste sfide. Se riusciremo a fare questo, io penso che ne usciremo anche migliori come persone e come società. Da un grande dolore e da un grande male si riscoprirà il bene dello stare insieme.

Fanno parte della task force dodici donne, dodici professionalità ed esperienze di vita diverse. Che tipo di contributo di pensiero – di “genio” direbbero i Papi – pensa possa offrire in questa fase di ripensamento del vivere sociale?

R. – Nella prima riunione della task force in cui ci siamo presentate, ho colto quante e quali competenze ci siano all’interno di questo gruppo. Mi sono resa conto che ci sono veramente un genio e delle possibilità che il femminile può mettere in campo, come per esempio l’essere abituati a lavorare al livello multidimensionale, avere una maggiore disponibilità a riadattarsi. Molte volte, come donne, si subisce di più il peso di una vita sociale che, non sempre, coglie tutte le esigenze che abbiamo per il lavoro e per la cura. E questo genera resilienza e anche creatività. Penso che sono tutte risorse da mettere a disposizione, ma per migliorare tutti. Penso al tema lavoro e cura. Oggi ci stiamo rendendo conto di quanto sia importante e quanto ci definisca, come esseri umani, la dignità del lavoro ma anche la dimensione del prendersi cura gli uni degli altri. Tutto questo è stato delegato molto al femminile, al privato. Oggi, tempo in cui le famiglie stanno in casa e sia la moglie sia il marito sia i figli sono chiamati a gestire il tutto, forse si inizia a vedere una diversa ripartizione anche di compiti di lavoro e di cura. E allora quel di più che le donne hanno saputo generare fino ad oggi, forse può essere rimesso in campo perché tutta l’umanità impari il valore della cura da unire al lavoro.

A novembre è in programma “The Economy of Francesco”, incontro internazionale tra giovani studiosi ed operatori dell’economia, convocati dal Pontefice. Il nome di questo evento fa chiaro riferimento al Santo di Assisi, esempio per eccellenza della cura degli ultimi e di una ecologia integrale, ma rimanda anche a Papa Francesco che, nei suoi scritti e discorsi, spesso invita a realizzare un modello economico nuovo, a curare le patologie dell’economia mondiale…

R. È proprio questo il messaggio che Papa Francesco ha lanciato nella sua lettera di invito all’evento di Assisi, chiamando i giovani a ritrovarsi per un patto capace di cambiare l’economia attuale e dare un’anima all’economia del futuro.. Un chiaro riferimento, per noi che stiamo preparando quest’evento, è l’episodio dell’abbraccio di San Francesco con il lebbroso, che ha cambiato il corso della sua storia e della storia. Noi ci siamo detti che questo deve essere l’obiettivo anche di “The Economy of Francesco” in modo che ci sia questo abbraccio con il lebbroso, che la povertà non venga scartata dalla storia, che i poveri possano essere messi al centro. Ci stiamo preparando in questo modo e il processo legato a “The Economy of Francesco” è iniziato. Con i duemila giovani e con tutti gli adulti che si sono messi a disposizione, stiamo lavorando nei 12 villaggi tematici individuati perché si cominci a fare proposte per cambiare l’economia. Devo dire che sto conoscendo giovani veramente in gamba, provenienti da tutte le parti del mondo. Ci ritroviamo per riunioni, per lavorare, per poter fare proposte. Io credo che questo sia un bel frutto anche del Sinodo dei giovani. Ci sono giovani che riescono a dare il loro contributo e credo che insieme ai grandi economisti, anche questi giovani potranno dare proposte innovative affinché il futuro che stiamo preparando, a partire da questa pandemia, sia veramente un tempo in cui non ci siano esclusi.

Fonte: Vatican News

Tu sei sacerdote per sempre

Per quanti hanno ascoltato la Santa Messa celebrata da Papa Francesco, in diretta Rai alle ore 11 di domenica 19 aprile, dalla Chiesa di Santo Spirito in Sassia,  avranno avuto anche la possibilità di leggere la frase scritta sul fronte della tovaglia che sporgeva dall’altare la frase  † tu sei sacerdote per sempre †.... Continua a leggere

Cosimo Lasorsa