Mons. Giuseppe Blanda: il saluto commosso tra Roma e la Sicilia

Mons. Giuseppe Blanda (Palazzo Adriano, Palermo 5.9.1936-Roma 19.7.2022) ci ha lasciati a ottantacinque anni ma solo fisicamente con la raccomandazione di stare sereni e la rassicurazione di essere “pronto”. Parole toccanti anche per chi non ha avuto il privilegio di conoscere la sua bontà, il suo cuore grande, la sua mente arguta. Fede immensa in Maria don Giuseppe ci ha accompagnato sempre con la sua grazia, il suo garbo, la sua eleganza, la sua signorilità, la sua cultura, la sua praticità ed immediatezza, la tua precisione, persino la sua ironia e simpatia, con il suo saper essere sempre cittadino del mondo affidandosi ed affidandoci al Signore. Per noi hai pregato dalla Grotta di Lourdes e la Mamma Celeste più volte ti ha graziato ma ora ti ha voluto con sé, senza se e senza ma.

Abbiamo avuto il dono di conoscerlo nella Basilica di S. Maria degli Angeli e dei Martiri di Roma – Chiesa di Stato nel 2001 e non lo abbiamo più lasciato.

Un ricordo bellissimo ci avvolge di mons. Blanda nella sua puntualità dalla celebrazione delle Sante Messe, con le sue omelie scritte a mano, alla sua passione per il web e per la tecnologia, al suo essere riferimento in occasione dei grandi eventi con il suo sorriso e con la sua tempestività.

Memorabile la celebrazione del suo cinquantennale del sacerdozio proprio a Lourdes.

Il Serra International Italia, presieduto dalla Prof.ssa Paola Poli esprime il suo cordoglio per la perdita di Mons. Giuseppe Blanda e il Presidente attuale del Serra Club di Roma Dott. Roberto Razzano unitamente al Past Presidente Prof. Giovanni Sapia, alla Prof.ssa Rosa Santi, al Dott. Doriano Froldi ricordano la condivisione con il già Primicerio della Confraternita di S. Maria di Odigitria quando insieme si è deciso di vivificare la processione quale atto devozionale a Maria ogni anno nel giorno dell’Immacolata, tradizione che il Serra di Roma, unendosi alla Confraternita di Odigitria, conserva anche con Mons. Renzo Giuliano.

La Fondazione Culturale “Paolo di Tarso” presieduta dalla Prof.ssa Luana Gallo, unitamente al Responsabile dell’Area Progetti dott. Fabio Gallo ed alla Responsabile Funzionale Dott.ssa Eleonora Cafiero che molto bene lo hanno conosciuto, condividendo tante belle e buone esperienze, esprimono le loro più sentite condoglianze per una perdita così importante.

 

Chi era Mons. Giuseppe Blanda

 

Rettore della Chiesa di Santa Maria Odigitria al Tritone, dal 2010 al 2020, Primicerio dell’Arciconfraternita di Santa Maria Odigitria dei Siciliani dal 2010 al 2020, Vicario parrocchiale della Parrocchia Santa Maria degli Angeli e dei Martiri dal 2000 al 2011 e poi Collaboratore parrocchiale della stessa Parrocchia dal 2011 al 2014, Vice Presidente dell’Opera Diocesana di Assistenza dal 1998 al 1999.

“Nel ricordo – dal messaggio di Sua Eminenza il Cardinale Vicario Angelo De Donatis, del Consiglio Episcopale e il Presbiterio della Diocesi di Roma

sul sito della Diocesi di Roma – del generoso e fecondo servizio pastorale, affidandolo all’abbraccio misericordioso di Dio e alla preghiera di suffragio dei fedeli, invocando la pace e la gioia del Signore”.

Mons. Renzo Giuliano oggi anche Primicerio di S. Maria di Odigitria dei Siciliani in Roma, suo successore in tale incarico così si è espresso, dando spazio, per poterlo ricordare e conoscere meglio, alle stesse parole di don Giuseppe:

“Carissimi dell’Odigitria – ha scritto mons. Renzo Guliano Primicerio di S. Maria di Odigitria dei Siciliani in Roma – con grande commozione e partecipazione di dolore abbiamo avuto la notizia della morte del carissimo Primicerio Emerito, Mons. Giuseppe Mario Blanda. La risonanza della partecipazione di tutti è ben evidente. Al termine dei suoi giorni, vissuti con coscienza, Don Giuseppe amava ripetere con insistenza la sua serenità per i giorni finali che lo attendevano e, con simile insistenza, chiedeva a noi di essere e rimanere altrettanto sereni. Ovviamente tale invito derivava fortemente dalla robustezza della sua Fede che specie negli ultimi giorni, fatti di acute sofferenze, lo ha reso un testimone del Cristo sofferente e redentore. Per una sintesi breve della sua vita, lasciamo che sia lui a parlarne con le parole dette in occasione del suo 80° di vita. Da queste parole riconosciamo la bellezza del suo carattere e della sua formazione: è esattamente un uomo che sa dire “grazie” per tutto ciò che la Provvidenza gli ha fatto sperimentare, quel “grazie” profondo e sincero che prelude all’Eucarestia e che ne realizza l’efficacia simbolica. Rimettiamoci in ascolto:

“Consentitemi di dire grazie – aveva detto mons. Giuseppe Blanda – Vi prometto che quando celebreremo i cento anni starò zitto. Voglio dire grazie al Signore per il dono della vita e del sacerdozio. Grazie a Mamma e a Papà. Il Papà il Signore lo ha voluto con se quando non avevo neppure 4 anni. La Mamma mi ha accompagnato fino ai primi otto anni di sacerdozio, assieme ad altri 4 miei fratelli (oggi ne rimane solo uno). Mamma è stata il primo modello di fede e di generosità, e assieme a lei, attraverso le sue parole, per la sua straordinaria, severa integrità e virtù lo fu mio Padre. Debbo a Mons. Salvatore Pizzitola la mia vocazione; ai miei padrini Anna e Gaspare Roberto Di Vita il completamento dei miei studi; all’Arcivescovo Francesco Carpino, poi Cardinale, la mia ordinazione sacerdotale il 29 maggio 1960; all’Arcivescovo Corrado Mingo la mia esperienza di parroco nella Parrocchia Maria Ss. del Carmine a Monreale dal 17 dicembre 1961. Debbo al Cardinale George Basil Hume Arcivescovo di Westminster la mia attività pastorale per la gioventù italiana e straniera a Londra (contavamo 87 nazionalità); all’Arcivescovo Cassisa e ai suoi successori, la mia appartenenza alla Diocesi di Monreale durante i miei 28 anni trascorsi in Gran Bretagna.

In particolare ringrazio S. E. Rev.ma Mons. Salvatore Di Cristina che oggi presiede questa liturgia nella memoria della Santa palermitana S. Rosalia. Il 4 settembre 2010, appena nominato Primicerio, fu l’Arcivescovo Di Cristina a celebrare questa stessa solennità di S. Rosalia nella nostra Arciconfraternita.

Per suo venerato incarico nel 2008 ho visitato la comunità dei Siciliani immigrati a Detroit e il Cardinale Maida Arcivescovo di Detroit, al fine di stipulare tra

le due Diocesi una convenzione per l’assistenza pastorale ai Siciliani, in massima parte provenienti dalla Provincia di Palermo. Oggi Don Pino Licciardi della Diocesi di Monreale guida la Comunità siciliana della Chiesa Holy Family in Detroit. Il mio inserimento nella Diocesi di Roma, destinato alla Presidenza dell’ODA, fu pensato dal Segretario Generale Luigi Moretti, oggi Arcivescovo di Salerno, da Antonio Maria Vegliò oggi Cardinale Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e Itineranti; fu presentato al Cardinale Vicario Camillo Ruini, dal Cardinale George Basil Hume e dal Nunzio Apostolico Luigi Barbarito.

Colgo l’occasione per ringraziare SE Rev.ma Mons. Rino Passigato, Nunzio Apostolico in Portogallo, per l’amicizia di cui mi ha onorato fin dagli anni del suo servizio diplomatico a Londra. A Roma per qualche tempo sono stato accolto nella Parrocchia del Ss. Sacramento a Tor de Schiavi da Mons. Roberto De Odorico, oggi Segretario Generale alla Pontificia Università Lateranense, e successivamente dal duemila, nella Basilica di S. Maria degli Angeli da Mons. Renzo Giuliano; dallo scorso ottobre da Mons. Pino Ciucci nella Parrocchia dei Ss. Martiri Marcellino e Pietro al Laterano.

L’onorificenza di Cappellano di S. Santità mi fu presentata l’11 luglio 1985 dal Cardinale Hume e dal Nunzio Apostolico in Londra Bruno Heim; di Prelato d’Onore dall’Arcivescovo Cassisa l’11 febbraio 1997.

Il mio ringraziamento va ai Confratelli nel sacerdozio, non vi nomino ciascuno, mi siete tutti cari. Nomino soltanto P. Gabriele Bentoglio, scalabriniano, Sottosegretario al Pontificio Consiglio per la Pastorale Migranti e Itineranti, per l’attività pastorale condivisa per anni a Londra.

Ringrazio le mie Consorelle e Confratelli nel sodalizio soprattutto quelli che non riescono più a partecipare attivamente alla vita dell’Arciconfraternita, e ricordo con nostalgia quelli che il Signore ha chiamato a sé.

Ringrazio Il Consiglio Direttivo, come pure il Collego dei Revisori, che si sono succeduti nel corso degli anni, per il sostegno, la fiducia e la collaborazione. Senza il loro aiuto non avremmo potuto realizzare quanto è stato fatto in questa Chiesa. Ringrazio le Sorelle Francescane del Vangelo per la loro dedizione all’Arciconfraternita. Alternanza ed esigenze dell’istituto concedono alla nostra Comunità la Sorella Responsabile Cristina, la Sorella Benedetta, e due nuove sorelle Marta e Cecilia, mentre sono trasferite in Sicilia le Sorelle Pia e Daniela. A loro vanno i nostri sensi di viva gratitudine. Ringrazio le Confraternite di Roma, le associazioni di Siciliani: da Antonello da Messina ai Netini e a San Leone, la Presidente del Serra Club di Roma Rosa Santi, e la comunità neocatecumenale del SS. Sacramento. Grazie agli amici con i quali ho condiviso anni di vita associativa attraverso il salotto di Conversazione a S. Maria degli Angeli, e quelli incontrati nei pellegrinaggi e viaggi. Grazie agli amici venuti dalla Sicilia, dal Veneto, da Torino e da Carpi. Ringrazio mio fratello Nino e sua moglie Olga, i miei nipoti tutti per l’affetto e le attenzioni. Di comune accordo con i familiari abbiamo deciso di ritrovarci assieme in Sicilia in altra data.

Ma il mio ringraziamento speciale e la mia incessante preghiera è rivolta alla Madonna Ss. che mi ha guidato tutta la vita, che mi ha protetto nella salute del corpo e dello spirito. Molti di voi conoscono bene il ruolo di Maria nella mia vita”.

 

“La Vergine Maria, Madre di Dio – conclude mon. Renzo Giuliano – lo ha sostenuto fino all’ultimo nello stare presso la Croce del Signore, a sua imitazione amorevole. Così Don Giuseppe ha realizzato la sua fedeltà fino alla fine.

Rivestito degli abiti prelatizi, Mons. Blanda sarà riconosciuto davanti alle porte del Paradiso dal Medaglione dell’Arciconfraternita dell’Odigitria che porta con sé nella tomba e Maria non indicherà più il cammino da fare, ma con il cenno della sua mano gli farà riconoscere Cristo e quella Porta Paradisi che lo inoltrerà nell’immensità dell’amore trinitario divino. “Vai servo buono e fedele” dirà Maria; la voce di Cristo farà eco e lo Spirito e la sposa dicono: Vieni!” (Apocalisse 22, 17).

Di rimando, tutti noi ci uniamo per dire ora noi a Don Giuseppe: “Grazie” per la testimonianza di una fede forte, semplice, potentemente convinta, di una fede che ha fraternamente uniti e chiamati alle cose di lassù!

Il suo corpo riposerà nella tomba di famiglia a Palazzo Adriano, accanto ai suoi genitori.

Noi in Roma lo saluteremo nelle esequie che si svolgeranno venerdì 22 alle ore 9,30 nella Basilica di S, Antonio da Padova, un Santo che Lui amava, a via Merulana, di fronte alla Parrocchia dove prestava il suo ministero e dove ha abitato.

Sabato 23, alle ore 9, la Celebrazione funebre sarà nel Duomo di Monreale.

Pragmatico come è stato, Don Giuseppe chiederà ora di non offrire in sua memoria ciò che subito perisce. Chi desidera manifestare un proprio contributo potrà fare offerte per le intenzioni di Messe da suffragare a suo nome oppure inoltre offerte che possano essere devolute al Seminario Arcivescovile di Monreale, per il quale egli ha creato una specifica ONLUS e che ha portato nel cuore.

Le offerte consegnate all’Arciconfraternita, con la specifica dell’intenzione, andranno alla indicata destinazione.

La carità di Mons. Blanda, che è stata grande ed anche evangelicamente nascosta, continuerà a produrre frutti buoni.

Dopo il periodo estivo, sicuramente avremo una Celebrazione di memoria per lui. Invio un santo saluto per tutti”.

 

Non dimentichiamo un particolare segno di riconoscenza a mons. Salvatore Cernuto ed alla sua mamma Rita per essere stati vicini negli ultimi istanti di vita a Don Giuseppe Blanda.

Mons. Salvatore Cernuto ci ha tenuto a ricordare come dal 2014, da quando mons. Giuseppe Blanda ha operato ed è stato ospite anche nella Chiesa dei SS. Marcellino e Pietro al Laterano egli sia stato confessore e padre spirituale di tante anime, con la sua messa fissa della domenica alle ore 19.00 oppure con la prima messa della mattina, alle ore 8.30 di tutti i giorni feriali. E’ stato confessore straordinario delle Oblate del Bambino Gesù in Via Urbana ed anche subito dopo gli interventi chirurgici subiti ci teneva a riprendere immediatamente la celebrazioni delle messe come è avvenuto anche con l’ultimo intervento chirurgico del 25 novembre 2021 ove ha voluto ricominciare ad officiare la messa proprio dal giorno dell’Immacolata 2021. La sua serenità nel

proferire ‘sono pronto, non ho rimorsi, né rimpianti, sono molto sereno’ ha commosso tutti in un punto di arrivo naturale e disarmante, esclamando ‘sono nella beatitudine’. Non lo dimenticheremo mai”.

 

Ricordiamo che la Camera ardente è stata allestita il 20.7.2022, dalle ore 17.00 alle 21.00 nella Parrocchia dei SS. Marcellino e Pietro al Laterano in via Labicana 1, ove sono presenti ad accogliere amici e parenti il fratello Antonino e la moglie Olga con i nipoti e la famiglia che non lo lasciano mai solo e che il 21.7.2022 dalle 7.00 alle 12.00 e dalle 17.00 alle 21.00 si potrà pregare accanto al feretro chiuso.

Ricordiamo le esequie venerdì 22.7.2022, alle ore 9,30, nella Chiesa di S. Antonio da Padova in via Merulana a Roma e in Sicilia sabato 23 luglio alle ore 9 nel Duomo di Monreale.

Ave Maria.

 

 

Fonte: Odigitria.org; Diocesidiroma.it; IlVaticanese.it.

 

 

Viviana Normando

La Convention di Serra International a Toronto, un grande successo

Si è appena conclusa la Convention di Serra International a Toronto, una convention che verrà ricordata tra le più belle e interessanti, per diversi motivi qui di seguito sinteticamente esposti. Il Serra Italiano era rappresentato da Giuseppe Miccoli e da Manuel Costa, entrambi membri del Board di Serra International.

Maggiori dettagli e una sintesi dei contenuti saranno pubblicati nella rivista Il Serrano che riceveremo entro la fine dell’estate.

·        “Witnesses of the Word: Serrans Called to Action”: questo il tema del congresso, preparato con grande cura dai serrani di Toronto, sotto la guida attenta e precisa di Mario Biscardi.

·        La S.Messa di apertura nella bellissima cattedrale di Toronto, concelebrata da ben due Cardinali e da cinque Vescovi, ha subito riscaldato i cuori. In particolare, hanno colpito le parole di benvenuto e di augurio del Cardinale Collins, Arcivescovo di Toronto e del Cardinale Lacroix, Arcivescovo di Montreal, che hanno trasmesso ai presenti la loro stima ed affetto per il Serra

·        La reliquia del Santo Junipero Serra (custodita personalmente dal Cardinale Collins) era esposta in grande evidenza

·        Il Cardinal Collins, che ricordiamo essere il Consulente Episcopale di Serra International, e il Card. Lacroix hanno voluto essere presenti durante tutta la Convention, nonostante i febbrili preparativi per l’arrivo del Papa in Canada previsto nei prossimi giorni

·        Sempre molto apprezzata e frequentata la sala dedicata all’Adorazione del Santissimo (senza interruzione notturna)

·        Da segnalare, un piacevole pranzo offerto dalla Serra International Foundation. con la consegna di un riconoscimento ai club che hanno contribuito con importanti elargizioni in questo anno sociale

·        Tra i relatori, tre in particolare hanno attirato l’attenzione. Il primo era in realtà un pannello di relatori composto da un giovane sacerdote, il rettore del Seminario di Toronto, il Direttore Diocesano alle Vocazioni e un cardinale (il Car. Collins), che hanno dialogato sulle realtà del seminario, dall’accettazione dei candidati alla loro formazione integrale.

Il secondo era il padre Stephan Kappler, psicologo e direttore del Southdown Institute, creato per curare le malattie mentali di sacerdoti e consacrati. Questo Istituto, oggi attivo e riconosciuto in Canada e negli USA, era stato fondato nel lontano 1967 da un serrano!!

Il terzo, il Cardinale Lacroix (ha solo 65 anni) che ha incantato l’uditorio con le sue doti oratorie fuori del comune, presentando e commentando un quasi sconosciuto ma interessantissimo passo degli Atti degli Apostoli (Atti 20,7-12)

·        Tante le testimonianze, tra queste il toccante racconto di una giovane mamma Serrana su come ha vissuto la vocazione del figlio, novello sacerdote
·        La presentazione di un nuovo Serra Club a Calgary, città universitaria, età media dei soci 35 anni, grazie a un vescovo e un responsabile diocesano alle vocazioni che hanno compreso le finalità del Serra il e il contributo che dei giovani laici possono portare. Una ventata di aria fresca


·        Interessanti i Gruppi di lavoro su programmi, vocazioni, estensioni e comunicazioni: un confronto utile e costruttivo tra le diverse realtà nazionali che compongono il Serra International
·        L’Assemblea dei Delegati si è svolta in modo ordinato e produttivo, approvando i bilanci e alcune modifiche statutarie, e confermando la nomina a Presidente Internazionale di Greg Schwietz del Serra Club Omaha, Nebraska. Giuseppe Miccoli è stato confermato Trustee e Emanuele Costa Vice Presidente Vocazioni
·        Il discorso di apertura del presidente Schwietz, di grande spessore e valenza serrana, verrà riportato sui nostri media appena disponibile


·        La presentazione SERRA AROUND THE WORLD ha seguito l’Assemblea. Nove nazioni Serrane hanno presentato un breve video per illustrare le proprie attività, tra questi  ha spiccato il video preparato dalla nostra Presidente Paola Poli che qui viene allegato

·        Al termine dei lavori, in occasione del Board Meeting presieduto dal nuovo Presidente, è stata consegnata la Charter a un nuovo Serra Club a Garki, nel Nord della Nigeria, pur in una zona geografica difficile ed ostile


Infine, appuntamento in Tailandia per la prossima Convention (Giugno 2023), dove i serrani locali stanno preparando un altro memorabile incontro.

20° Anniversario del Club di Acireale. Il saluto del Rettore del Seminario Diocesano

Condividiamo il saluto che don Marco Catalano, rettore del Seminario Vescovile di Acireale, ha rivolto ai convenuti in occasione del20° anniversario della fondazione del Serra Club di Acireale, loscorso 25 giugno 2022

Eccellenze Reverendissime,

Stimato Presidente,

Gentili autorità,

Cari soci,

È con grande gioia che quest’oggi celebriamo nel Seminario vescovile della diocesi di Acireale il ventesimo anniversario di fondazione del Serra Club, Club fondato grazie alla brillante intuizione dell’allora vescovo Mons. Salvatore Gristina, che non solo ringraziamo per quanto operato venti anni fa ma anche per la sua presenza quest’oggi. Colgo altresì l’occasione per ringraziare e salutare il nostro vescovo Mons. Antonino Raspanti, il presidente nazionale Dott.sa Paola Poli, il governatore del Distretto 77 dott. Michele Montalto, l’attuale presidente dott. Alfio Cristaudo, la segretaria M° Vera Pulvirenti e tutti i past president qui convenuti: ciascuno per le proprie competenze ha sempre mostrato zelo per la mission del Serra Club e di conseguenza è stato sempre vicino al Seminario che mi pregio di rappresentare.

Venti anni di storia rappresentano un periodo significativo sia per compiere un bilancio di quanto operato finora e sia per rilanciare un’azione che merita di essere calibrata sempre più con la sensibilità del tempo presente. È un compito che naturalmente non spetta a me, ma in questo saluto iniziale desidero cogliere l’occasione per esprimere un sincero ringraziamento per l’opera che il Serra Club ha svolto a beneficio della Chiesa, dei sacerdoti e dei seminaristi in particolare.

Nel corso degli anni ho avuto modo di apprezzare la vicinanza del Serra Club al Seminario, vicinanza che si è manifestata attraverso tre grandi direttrici che mi piace velocemente ricordare. Anzitutto una precisazione: sento il dovere di ricordare perché sento il bisogno di ringraziare; e solo attraverso il ricordo il ringraziare non rimane legato alla leggerezza della forma, ma porta con sé la consistenza del vissuto.

La prima grande direttrice su cui ha operato il Serra è certamente di tipo spirituale: sacerdoti, seminaristi e laici abbiamo visto in questi anni il Serra Club essere presente non solo ai momenti più significativi della vita diocesana, ma la partecipazione alle veglie vocazionali mensili, alle ordinazioni ed ai ministeri dei seminaristi, così come la preghiera personale per le vocazioni hanno offerto un’autentica testimonianza anzitutto di vita cristiana.

La seconda grande direttrice per cui sento il bisogno di ringraziare il Serra Club è di tipo culturale: con ciò non mi riferisco solamente al concorso scolastico o alla partecipazione alle tragedie classiche al teatro greco di Siracusa, ma penso anzitutto ai tanti incontri che soprattutto in questo salone hanno visto alternarsi laici, religiosi e sacerdoti che di volta in volta hanno offerto interessantissimi spunti di riflessione ed approfondimento, ora per conoscere sempre meglio la nostra fede ed ora per cogliere nelle pieghe del tempo presente quei valori universali che di riflesso rappresentano autentiche feritoie verso il divino.

Ed infine – ma non perché meno importante – ringrazio il Serra Club perché alla promozione spirituale e culturale ha sempre affiancato anche una concreta vicinanza materiale: le borse di studio, le convivialità con i seminaristi e con i sacerdoti anziani in determinati periodi dell’anno e le offerte devolute annualmente a beneficio del Seminario sono solo un esempio del sostegno ricevuto. Un sostegno non sporadico, ma che, nella sua costanza, ha assunto quasi i connotati del “prendersi cura”… e se ci si prende cura di qualcuno – normalmente – è perché si è legati da sentimenti di affetto. Pertanto, il mio ringraziamento non si limita soltanto al sostegno economico ricevuto, ma vuole raggiungere quell’affetto di cui il sostegno economico è espressione.

Naturalmente ci sono anche altri motivi di cui ringraziare, ma, come detto poc’anzi, il mio non vuole essere un intervento esaustivo. Celebriamo il ventesimo anniversario di fondazione del Serra Club nella diocesi di Acireale e – come è prassi in ogni compleanno – non posso non esprimere un augurio. Lo faccio prendendo spunto dalla scrittrice e filosofa tedesca Hanna Harendt naturalizzata statunitense, la quale nel libro Vita Activa mette a fuoco i concetti di lavoro, opera ed azione. Se il lavoro dice fondamentalmente la fatica e produce un beneficio che si sperimenta principalmente nel presente, l’opera rappresenta un frutto avanzato del lavoro: è un lavoro che è stato capace di produrre degli effetti benefici non solo per il presente ma anche per un lasso di tempo significativo. L’azione rappresenta invece l’ultimo stadio dell’agire umano poiché essa è un’opera che per rimanere tale deve saper compiere le giuste scelte di volta in volta… come dire: nessuna opera lasciata a se stessa sopravvive all’inesorabile scorrere del tempo. Ecco! A mio modo di vedere, i venti anni di attività del Serra Club nella diocesi di Acireale testimoniano certamente la fatica del lavoro delle tante e singole iniziative intraprese, ma al tempo stesso nel loro insieme rappresentano un’opera che persiste e di cui oggi facciamo memoria. Un’opera che però necessita di divenire azione nel presente, guardando non solo indietro ma compiendo quelle giuste scelte che assimilano il Serra Club allo scriba sapiente di cui parla Gesù nel vangelo di Matteo che «estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52b).

Ringrazio il Serra Club e gli auguro di essere sempre questo scriba sapiente affinché attraverso il suo lavoro, la sua opera e la sua azione incarni lo spirito del fondatore San Junipero Serra che amava dire “Siempre adelante, nunca atras”: sempre avanti e mai indietro nell’essere testimoni autentici di fede e di umanità!

Don Marco Catalano

 

Comunità, presbiteri, sinodalità nel ministero. Relazione di Don Carmelo Raspa al 20° del Club di Acireale

Riportiamo il testo completo della relazione svolta il 25 giugno ad Acireale – in occasione della celebrazione del ventennale del club – da don Carmelo Raspa, biblista, docente presso l’Istituto Teologico “San Paolo” di Catania. L’intervento, partendo dalle caratteristiche del Serra club, pone in evidenza la radice biblica del sostegno ai sacerdoti, impegno del Serra.

Comunità, presbiteri, sinodalità nel ministero

Il Serra Club

L’articolo 2 dello Statuto del Serra International afferma:

“Gli scopi e le finalità di Serra International sono:

  • favorire e promuovere le vocazioni al sacerdozio ministeriale nella Chiesa Cattolica come una particolare vocazione al servizio e sostenere i sacerdoti nel loro sacro ministero;
  • incoraggiare e valorizzare le vocazioni alla vita consacrata nella Chiesa Cattolica;
  • e aiutare i propri membri a riconoscere e rispondere, ciascuno nella propria vita, alla chiamata di Dio alla santità in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito Santo”.

I membri del Serra sono chiamati, pertanto, avendo come modello san Junipero Serra, ad accompagnare il cammino di quanti sono chiamati alla consacrazione presbiterale o religiosa. Questa vocazione degli appartenenti al Serra si esplica, in seno alla Chiesa, anzitutto attraverso la cura della propria vita spirituale e la formazione continua all’intelligenza della fede, perché l’annuncio del vangelo sia autentico ed efficace ed il discernimento sulle persone, delle quali si segue il cammino, sia sostenuto dallo Spirito di sapienza.

Ancora, i membri serrani sono chiamati a coadiuvare i presbiteri in ordine allo svolgimento del loro ministero. Quest’appello si caratterizza come presenza attiva nei contesti dove il presbitero opera: non a caso, il Regolamento annesso allo Statuto, all’art.8 sez. 2 chiede ai membri serrani un impegno totale nelle attività del Club e in quelle del contesto ecclesiale in cui ciascuno di loro vive e svolge il proprio lavoro, ragion per cui lo Statuto stesso tende a non accettare come socio del Club chi non può assicurare una partecipazione piena, almeno non nella qualità di socio vincolato (cfr. Regolamento art.8 sez. 4.6).

Insieme alla partecipazione attiva alle opere pastorali, i membri serrani offrono un sostegno economico ai seminaristi e ai presbiteri in difficoltà. L’art. 13 del Regolamento proibisce la raccolta fondi come scopo del singolo Club, ma permette ad esso lo svolgimento di “attività per raccogliere fondi per la promozione degli obiettivi e delle finalità di Serra International”. Inoltre, l’11 novembre 1994 è stata eretta la Fondazione di Religione e Culto, la quale, oltre a prevedere, tra i suoi scopi l’aiuto ai presbiteri e ai religiosi che “per ragioni di età, salute o altro incontrino difficoltà nello svolgere il proprio ministero”, presenta un “ramo ONLUS, la cui peculiare attività di beneficenza ha esclusive finalità di solidarietà sociale, essendo rivolta a giovani seminaristi bisognosi delle Diocesi italiane e consiste in contributi e borse di studio”.

Il sostegno economico a seminaristi e presbiteri, promosso dal Serra, si inserisce in una tradizione che, a partire dalla Scrittura, individua l’aiuto concreto alla persona “consacrata” come un dono di grazia (cfr 2Cor 8,1) da parte di Dio ed una forma di partecipazione all’annuncio del Vangelo e alle attività pastorali e missionarie.

Il dato veterotestamentario

Il libro del Lv prescrive che parte dell’olocausto e dei sacrifici di comunione sia data al sacerdote:

“Aronne e i suoi figli mangeranno quel che rimarrà dell’oblazione; lo si mangerà senza lievito, in luogo santo, nel recinto della tenda del convegno. Non si cuocerà con lievito; è la parte che ho loro assegnata delle offerte a me bruciate con il fuoco. È cosa santissima come il sacrificio espiatorio. Ogni maschio tra i figli di Aronne potrà mangiarne. È un diritto perenne delle vostre generazioni sui sacrifici consumati dal fuoco in onore del Signore. Tutto ciò che verrà a contatto con queste cose sarà sacro” (Lv 6,9-11).

E ancora:

“Darete anche in tributo al sacerdote la coscia destra dei vostri sacrifici di comunione. Essa spetterà, come sua parte, al figlio di Aronne che avrà offerto il sangue e il grasso dei sacrifici di comunione. Poiché, dai sacrifici di comunione offerti dagli Israeliti, io mi riservo il petto della vittima offerta con l’agitazione di rito e la coscia della vittima offerta con l’elevazione di rito e li do al sacerdote Aronne e ai suoi figli per legge perenne, che gli Israeliti osserveranno. Questa è la parte dovuta ad Aronne e ai suoi figli, dei sacrifici bruciati in onore del Signore, dal giorno in cui eserciteranno il sacerdozio del Signore. Agli Israeliti il Signore ha ordinato di dar loro questo, dal giorno della loro unzione. È una parte che è loro dovuta per sempre, di generazione in generazione” (Lv 7,32-36).

La norma s’inquadra in una legislazione più ampia, secondo la quale sacerdoti e leviti non debbano possedere nessuna terra, essendo il Signore la loro eredità (ebr. na?al?h: cfr Nm 18,20-24; 26,62): da tutta la comunità degli Israeliti bisogna assicurare loro il sostentamento attraverso l’offerta dei sacrifici, da cui prelevare la parte loro spettante, e la presentazione delle decime (cfr Nm 18,8-9.25-28). In Nm 35 ai leviti saranno, tuttavia, riservate delle città, quarantotto in tutto, delle quali sei saranno costituite come città di rifugio per l’omicida.

Essendo “un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19,6), costituito tale da Dio, Israele esplica il servizio liturgico attraverso sacerdoti e leviti, entrambi discendenti di Aronne. Ogni membro del popolo è tenuto a presentare dei sacrifici e delle offerte o in occasione delle feste o per particolari situazioni: il rito sacrificale è compiuto dal sacerdote, aiutato in questo dal levita, mentre l’azione liturgica rimane propria di tutta la comunità di Israele. In tal modo, il sostegno a sacerdoti e leviti, che non hanno parte nella terra promessa, è inteso nell’ottica di una partecipazione al loro ministero da parte di tutto Israele, il quale rimane esso popolo sacerdotale da cui il Signore designa poi dei consacrati per il servizio rituale. La partecipazione, in questo caso, non è da interpretare nell’ottica di un’esclusività ministeriale di sacerdoti e leviti: il sostegno a questi ultimi da parte di Israele è esercizio della sua identità sacerdotale.

Il dato neotestamentario

La comunità cristiana vede perpetuarsi il sostegno economico all’apostolo come espressione dell’opera di evangelizzazione che essa è chiamata a compiere. Allo stesso modo di Israele, anche per la chiesa primitiva l’annuncio del Vangelo, che essa è chiamata a compiere, passa attraverso l’aiuto concreto fornito a quanti si occupano pienamente di diffondere la buona notizia del Regno. In realtà, due sono le visioni che si scontrano in tal senso, una facente capo a dei missionari della cerchia pietrina, come sembra, l’altra avente il suo esponente in Paolo. La controversia è delineata da quest’ultimo nell’epistolario ai Corinti: purtroppo è assente il punto di vista degli avversari di Paolo, cioè dei missionari petrini di cui sopra, dei quali possiamo avere notizie ricavandole indirettamente proprio dagli stessi scritti paolini.

Per la comunità di Corinto Paolo prova “una specie di gelosia divina” (2Cor 11,2) e la sua amarezza è grande nel constatare quanto poco affetto i corinti gli dimostrino e quanta poca fiducia ripongano in lui, lasciandosi attirare facilmente nelle maglie degli oppositori, i nuovi arrivati. 

Motivo della divisione è il rifiuto da parte di Paolo di essere sostentato dalla comunità, il che era ritenuto un grave affronto, in quanto, sostenendo l’apostolo, si partecipava, come rilevato, alla sua attività missionaria. Ad aggravare la situazione i continui cambiamenti di viaggio di Paolo, che lo costringono ad una distanza prolungata da Corinto, e la richiesta della colletta per Gerusalemme, sulla quale cade il sospetto di furto, anche perché Paolo si presenta senza lettere di raccomandazione da altre comunità. In tale contingenza è facile per gli oppositori trascinare i corinti dalla loro parte, mettendo in discussione la legittimità stessa del ministero paolino proprio a partire dal sostentamento: da qui il contrasto si allarga sino ad inglobare la conoscenza delle Scritture e della Legge (cap. 3), la dimostrazione di segni e prodigi (cap. 12), l’abilità retorica (cap. 10,10).

Paolo aveva comunque già spiegato il motivo del rifiuto del sostentamento in 1Cor 9: la predicazione del Vangelo è per lui un destino impostogli da Dio (v. 17). D’altronde, il sostentamento dell’apostolo da parte della comunità risponde ad un comando di Gesù stesso, che Paolo cita e reinterpreta (v. 14). Come ogni lavoratore ha diritto al suo compenso, così anche l’apostolo: e in ciò sono concordi anche le Scritture (al v. 9 si cita Dt 25,4 applicato al lavoro apostolico). Si tratta di una povertà che fa affidamento su Dio e sulla carità altrui, cosa che Paolo sembra smentire sostenendosi con il suo lavoro. Paolo, però, comprende bene che la povertà dell’apostolo non è più tale, bensì è divenuta un privilegio alla maniera di quello veterotestamentario per i sacerdoti del tempio (vv. 13-14), il che nuoce alla veracità dell’apostolo. Paolo, rinunciando a questo privilegio in Corinto, tradisce la lettera del comando di Gesù, ma non lo spirito: in tal senso è “nella legge di Cristo” (v. 21). La verità e la legittimazione del suo apostolato (v. 1) sono dati non dall’accettare o meno il sostentamento dalla comunità di Corinto, ma dalle tribolazioni in cui versa a causa del Vangelo, tra le quali in 1Cor 4,12 compare anche lo stesso lavoro, reso molto precario dai rischi della missione. La sua ricompensa sta in tutti coloro che vengono salvati (vv. 22-23), come la sua lettera di raccomandazione è la stessa comunità di Corinto. Come giustamente nota G. Theissen, “il problema teologico della legittimità dell’apostolo è indissolubilmente connesso con il problema materiale del sostentamento. È fuor di dubbio che in origine dietro la decisione di diventare carismatici itineranti stava un motivo religioso, ma, una volta presa questa decisione, si erano scelte con ciò delle condizioni di vita rispetto alle quali ci si veniva poi a trovare in uno stato di dipendenza – dipendenza che incideva anche sull’argomentazione teologica. In virtù della propria autonomia materiale, Paolo aveva invece indubbiamente una maggiore libertà di ragionamento teologico” (G. Theissen, Sociologia del cristianesimo primitivo, Marietti 1987, 203).

Paolo ricorda, tuttavia, di essere stato sostenuto dalla comunità di Filippi (Fil 4,15-18) e dai Macedoni (2Cor 11,9).

Attualizzazioni problematiche in ordine al cammino sinodale

Il Codice di Diritto Canonico al can. 517 paragrafo 2 del libro II stabilisce: “Nel caso che il Vescovo diocesano, a motivo della scarsità di sacerdoti, abbia giudicato di dover affidare ad un diacono o ad una persona non insignita del carattere sacerdotale o ad una comunità di persone una partecipazione nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia, costituisca un sacerdote il quale, con la potestà e le facoltà di parroco, sia il moderatore della cura pastorale”.

Il testo necessità di una precisazione terminologica che è anche teologica: è la comunità cristiana a possedere il carattere sacerdotale. In seno ad essa sono poi ordinati dei presbiteri, ai quali impropriamente viene assegnato l’appellativo di sacerdote; appellativo che individua, tuttavia, l’azione rituale, espressione di quella liturgica compiuta da tutta la comunità. Il sacerdozio di Cristo è partecipato a tutta l’assemblea dei cristiani, i quali celebrano l’Eucaristia, all’interno della quale la dimensione più propriamente rituale è affidata al presbitero.

Il presbitero è, infatti, ordinato per la presidenza dell’Eucaristia e l’amministrazione dei sacramenti. In questo, il ministero del presbitero va distinto dall’ufficio di parroco, che può essere assunto, come recita il testo del Codice di Diritto Canonico, anche da una comunità di persone, cioè dai battezzati. L’ufficio di parroco include una rappresentatività legale che comporta responsabilità amministrative e penali: esso non va identificato con il ministero del presbiterato, com’è purtroppo prassi fare. L’ufficio di parroco può essere svolto da una sorta di consiglio di comunità che risponde di tutti gli aspetti amministrativi nei termini della legislazione civile ed ecclesiastica. Il cammino sinodale dovrebbe, forse, condurre a questa forma di espressione della comunità cristiana per ciò che concerne gli aspetti più propriamente amministrativi.

In tale contesto, la remunerazione derivante in Italia dall’otto per mille è indirizzata all’ufficio di parroco. Il sostegno economico al presbitero si configura, diversamente, come espressione dell’essere sacerdotale della comunità che in tal modo collabora con chi è consacrato a tempo pieno all’annuncio del Regno e all’opera di salvezza e guarigione, rappresentata dai sacramenti. In realtà, il problema è molto più ampio e investe l’ecclesiologia, il modo cioè in cui la Chiesa si pensa alla luce della Parola di Dio e della Tradizione. Rimane costante, tuttavia, il dato secondo il quale è la comunità per intero ad essere corpo sacerdotale, di cui Cristo è il membro. In questo corpo vi sono carismi, ministeri, uffici, derivanti dallo stesso Spirito, per l’utilità comune (cfr Ef 4). La comunità è chiamata tutta intera a vivere l’opera di evangelizzazione e a sentirsene responsabile, anche attraverso il sostegno economico che si indirizza a diversi aspetti e a diverse figure, tra le quali compare anche quella dei presbiteri. In tal senso, occorre probabilmente sviluppare in ogni battezzato il senso di appartenenza alla compagine ecclesiale, oggi affievolito per diverse cause: isolamento sociale, privatizzazione del sacramento stesso, mancanza di formazione e di catechesi continua. Il cammino sinodale potrà giungere ad una diversa configurazione della comunità cristiana, oggi individuata dalla parrocchia per lo più, soltanto se i battezzati si sentiranno parte viva di essa e contribuiranno alla sua edificazione in maniera entusiasta e partecipe, non da spettatori, ma da protagonisti. Il presbitero, in tal modo, ricondotto alla sua identità potrà svolgere quanto ad essa è inerente in un clima gioioso e appassionato, senza preoccupazioni eccessive, aprendo il cuore alla carità della condivisione. In tale contesto, l’aspetto economico sarà vissuto come grazia, riconoscendo che quanto ciascuna dona è in realtà quanto gratuitamente ha ricevuto, poiché, se l’uomo fatica, è Dio che porta a compimento l’opera (cfr Sal 138,8). Ciò significa che la parola di Gesù appassiona, inquieta e cerca nuove forme per giungere agli uomini. Al tal proposito – e ci sembra una buona conclusione – scrive Theissen riguardo i missionari cristiani della chiesa primitiva in opposizione tra di loro di cui sopra: “Studiandoli, si può imparare questo, che quando una religione cessa di essere il cor inquietum di una società, quando le viene a mancare il desiderio di una nuova forma di vita, quando diviene sostanza senza spirito di una situazione sclerotizzata e clericalizzata, allora dovrebbe sapere di essere finita” (G. Theissen, op. cit., 206).

Un meraviglioso poliedro (ChV 207). L’ UNPV pubblica il tema del prossimo anno pastorale

Quando lo sguardo amorevole e creativo di Dio ci raggiunge in modo del tutto singolare in Gesù la nostra vita cambia. E nella misura in cui lo accogliamo «tutto diventa un dialogo vocazionale, tra noi e il Signore ma anche tra noi e gli altri. Un dialogo che, vissuto in profondità, ci fa diventare sempre più quelli che siamo: nella vocazione al sacerdozio ordinato, per essere strumento della grazia e della misericordia di Cristo; nella vocazione alla vita consacrata, per essere lode di Dio e profezia di una nuova umanità; nella vocazione al matrimonio, per essere dono reciproco e generatori ed educatori della vita» (Francesco, Messaggio per la 59a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, Roma 8 maggio 2022).

La tematica che l’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni ha pensato di proporre per il prossimo anno pastorale (2022-2023) vuole cogliere l’invito di papa Francesco e richiamare l’attenzione sulla reciprocità delle diverse vocazioni nella Chiesa. È l’orizzonte proposto anche dalla Esortazione Apostolica post-sinodale rivolta ai giovani e a tutto il popolo di Dio quando insegna: «La pastorale [giovanile] non può che essere sinodale, vale a dire capace di dar forma a un ‘camminare insieme’ che implica una valorizzazione dei carismi che lo Spirito don secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno dei membri della Chiesa attraverso un dinamismo di corresponsabilità […]. In questo modo, imparando gli uni dagli altri, potremo riflettere meglio quel meraviglioso poliedro che dev’essere la Chiesa di Gesù Cristo. Essa può attrarre i giovani proprio perché non è un’unità monolitica, ma una rete di svariati doni che lo Spirito riceve incessantemente in essa, rendendola sempre nuova nonostante le sue miserie» (Francesco, Christus vivit, 206-207).

Non è un discorso ecclesiologico quello che vogliamo suggerire quanto piuttosto promuovere l’esercizio di affinare lo sguardo e di maturare nelle nostre comunità stili e prassi nuove per riconoscere «la ricchezza della varietà delle vocazioni di cui la Chiesa si compone» (ChV 207). In questa prospettiva, diventa interessante approfondire la vocazione non soltanto per ricomprendere la sua essenziale caratteristica comunitaria – già lo abbiamo sottolineato nell’anno 2021 – ma soprattutto per mettersi alla ricerca di quel singolare annuncio di vita evangelica affidato a ognuna delle vocazioni, che sono a servizio le une delle altre. In altre parole, se esiste una vocazione dell’intero corpo ecclesiale che è la missione di annunciare il Vangelo e portare a tutte le genti la Salvezza che viene dal Signore, se esiste la vocazione personale di ciascuno dei suoi membri che rende carne e fa prendere corpo alla chiamata universale della Chiesa stessa, esiste anche una parola che risuona nel reciproco e complementare annuncio tra le forme della vocazione, a servizio di tutti coloro che lo vogliono ascoltare.

Le vocazioni nella Chiesa, infatti – la vita consacrata, il ministero ordinato, il matrimonio e il laicato vissuto a servizio del Vangelo – non demarcano territori esclusivi ma sottolineano aspetti complementari dell’unica vita cristiana che è la vita di Cristo donata per il mondo (cf. Gv 6,51). Cristo, infatti, è forse diviso? (cf. 1Cor 1,13). «L’intima vocazione della Chiesa» (Lumen gentium, 51) e la sua opera a servizio del mondo non si realizza attraverso una distinzione di compiti ma ciascuna vocazione, occupandosi di un aspetto particolare della vita cristiana senza tralasciare l’insieme, ne richiama l’importanza e la bellezza alle altre vocazioni e porta un annuncio di salvezza ad ogni uomo, come in un meraviglioso poliedro.

La vita consacrata, ad esempio, che fa della professione dei consigli evangelici il nodo portante che dà forma alla vita, ne annuncia la ricchezza per la vita di ciascuno: castità, povertà e obbedienza, infatti, sono il modo di vivere di Cristo, riguardano ciascun battezzato e sono annuncio di vita piena per ogni uomo (cf. Gaudium et spes, 22). L’amore sponsale che riguarda in maniera specifica la particolare vocazione matrimoniale annuncia alla vita dei celibi la gioiosa e drammatica concretezza dell’amore che dona la vita nel concreto della storia, orienta ad una fedeltà che è chiamata ad attraversare la buona e la cattiva sorte in tutti i giorni della vita e annuncia ai celibi l’esigenza di un amore concreto, che si realizza nei fatti più che nelle parole. Viceversa, la coppia riceve dal celibe l’annuncio riguardo la destinazione ultima della vita, la possibilità di affidare a Dio il frutto dei propri gesti e invita a mantenere ampio l’orizzonte dell’amore. La vita missionaria marca in maniera insistente la spinta intrinseca della Parola ad essere lasciata correre fino agli estremi confini della terra perché anche i confini più ristretti della propria casa, del proprio ambiente lavorativo, della propria quotidiana realtà possano essere riconosciuti come terreno nel quale disperdere il seme buono di Dio che attecchisce nel dialogo feriale, da persona a persona (cf. Evangelii gaudium, 169). C’è un inter-esse (qualcosa di importante, che mi preme, che conta: letteralmente ‘ciò che si trova nel mezzo’)reciproco tra le vocazioni, ancora tutto da riconoscere e da osservare attentamente per imparare ad ascoltarne il racconto, la narrazione di quel meraviglioso poliedro che la vita dello Spirito intende continuare a tessere lungo i tempi della storia e della Chiesa. Di questa conoscenza e di questo dialogo reciproci suggeriamo di occuparci nel prossimo anno pastorale; «perché la comunione della Chiesa possa essere vissuta in modo più pieno [infatti] occorre valorizzare la varietà dei carismi e delle vocazioni che convergono sempre più verso l’unità e la possono arricchire» (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, Esortazione apostolica post-sinodale, 28 giugno 2003). «Questo è il mistero della Chiesa: nella convivialità delle differenze, essa è segno e strumento di ciò a cui l’intera umanità è chiamata. Per questo la Chiesa deve diventare sempre più sinodale: capace di camminare unita nell’armonia delle diversità, in cui tutti hanno un loro apporto da dare e possono partecipare attivamente» (Francesco, Messaggio per la 59a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, Roma 8 maggio 2022).

La Santa Settimana in Ucraina: quando Dio ti dà un appuntamento

La Chiesa ha una missione di verità da compiere, in ogni tempo e in ogni evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione.  Chiamare per nome il male, riconoscere che i fratelli Caino e Abele continuano la loro lotta fratricida, rende evidente la questione fondamentale e che i cristiani debbono avere chiaro per essere a servizio della verità che libera; la domanda giusta non è se armare gli ucraini è giusto o meno, ma: come favorire il dialogo fra Caino e Abele? Quale mediazione mettere in campo perché il confronto e lo scontro diventino incontro?

L’occasione di un viaggio inaspettato si presenta a fine marzo 2022 grazie all’invito di un amico rabbino, che mi propone di partecipare a un momento di solidarietà, amicizia, preghiera, speranza e conforto in Ucraina: “Volentieri – rispondo – fratello Alon!”. “Bene, fra’ Francesco, l’incontro si terrà il 12 aprile a ?ernivci, in Ucraina”. Silenzio! Capisco che sono quelle visite inaspettate di Dio, quasi un’imboscata, che sembrano impossibili e che mettono tutto sottosopra. Dopo aver compreso la portata dell’evento, coinvolgo subito il nostro fratello e padre, il Ministro generale dei Frati minori, fra’ Massimo Fusarelli, il quale non solo accetta l’invito, ma mi chiede di accompagnarlo e di prolungare il viaggio in Ucraina per visitare con lui i nostri frati in quella terra ferita, stanca e violata.

Giorni di passione in terra ucraina
I giorni della Quaresima corrono veloci e impegnati, come pure sono tumultuosi in me i sentimenti, che a fatica la razionalità tiene a bada; ma viene in soccorso la fede con le parole che per anni il mio padre spirituale mi ha donato: “L’abbandono è la fine di ogni paura!”. Del
resto, vivremo questo pellegrinaggio – perché di questo si tratterà -, proprio durante la Santa Settimana nella quale Gesù entra a Gerusalemme come Re ed esce come Pane. Ascolteremo ancora il racconto della Passione del Signore e ogni personaggio coinvolto, gli eventi convulsi e duri di quelle acerbissime ore, i tradimenti e le lacrime, la presenza di Maria e le parole di affidamento di Gesù a lei come Madre, forse, ci aiuteranno a leggere con maggior fiducia quanto sta avvenendo in Ucraina e in Russia, a vedere e credere. È dalla notte del 24 febbraio che ci sentiamo tutti impotenti, offesi e umiliati, perché il “nuovo umanesimo” è negato e violato: la guerra sembra spegnere la vocazione dell’uomo a diventare veramente umano. C’è urgenza di Pasqua, di quel magnifico scambio in cui Cristo muore perché io invece viva; c’è urgenza di fiducia pasquale, di quel rovesciamento secondo il Regno di Dio dove dalla morte nasce la vita, dalle ceneri del mercoledì divampa il fuoco santo della veglia pasquale, dove il Magnificat che cantiamo ogni sera non resti un pio desiderio ma diventi realtà con i piccoli innalzati e i potenti abbassati, e le beatitudini siano il vanto di ogni uomo.
Pochi giorni prima di partire scrivo una lettera ai frati, alle sorelle clarisse, alle fraternità dell’Ordine francescano secolare, ai tanti amici che negli anni il buon Dio mi ha donato; esprimo con un’immagine questo pellegrinaggio agli amici ucraini “come il gesto della Veronica che asciuga il volto di Gesù, portando loro un istante di sollievo, di vicinanza, regali uno sguardo amico. Gesù nota i segni della fede, di amore, di carità, di delicatezza che quella donna gli rivolge e volentieri li accoglie per continuare la via crucis”.
Dopo la celebrazione mattutina delle Palme fra’ Massimo ed io partiamo alla volta di Suceava, in Romania: ci accolgono i frati della Provincia della Transilvania. La loro accoglienza è sempre consolazione, e resto sempre più convinto che l’ospitalità è la prima opera della fede, il primo mattone d’ogni relazione: permette ad altra vita di vivere. Entreremo solo martedì 10 aprile, all’alba in terra Ucraina con un permesso speciale della Segreteria di Stato, insieme agli altri leader religiosi; Papa Francesco, poche ore prima di partire, ha affidato al Ministro generale un suo messaggio che verrà letto da fra’ Cristian, frate minore ucraino che lavora in Curia generale a Roma ma, al momento dell’attacco, si trovava nella sua terra e lì è tutt’ora.

La violenza di Caino e il grido di Abele

Il messaggio del Papa risuona forte nel Drama Theater di ?ernivci, dove si celebra l’incontro organizzato dall’Elijah Interfaith Institute di Gerusalemme: le parole del Santo Padre sono accolte con benevolenza e considerate profetiche dai leader religiosi presenti, esprimono la
verità di ciò che continua ad accadere in Ucraina e in Russia e che pochi hanno il coraggio di chiamare per nome: “L’ora che stiamo vivendo ci lascia sgomenti perché è attraversata dalle forze del male. La sofferenza arrecata a tante persone deboli e indifese; i numerosi civili massacrati e le giovani vittime innocenti; la fuga disperata di donne e bambini… tutto ciò scuote le nostre coscienze e ci obbliga a non tacere, a non rimanere indifferenti di fronte alla violenza di Caino e al grido di Abele, ma ad alzare la nostra voce con forza per chiedere, in nome di Dio, la fine di tali azioni abominevoli”.
La Chiesa ha una missione di verità da compiere, in ogni tempo e in ogni evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione. Chiamare per nome il male, riconoscere che i fratelli Caino e Abele continuano la loro lotta fratricida, rende evidente la questione fondamentale e che i cristiani debbono avere chiaro per essere a servizio della verità che libera; la domanda giusta non è se armare gli ucraini è giusto o meno, ma: come favorire il dialogo fra Caino e Abele? Quale mediazione mettere in campo perché il confronto
e lo scontro diventino incontro? Solo la fedeltà alla verità è garanzia di libertà (Gv 8,32) e premessa a uno sviluppo integrale.
Francesco d’Assisi, scrivendo la Lettera ai reggitori dei popoli (Fonti francescane 210-213), li richiama da subito alla verità delle verità, alle cose ultime, cioè a quelle che stanno alla fine della vita: la morte, il giudizio, l’inferno e il paradiso. Questo non per intimorire qualcuno, ma per ricordare ai piccoli e ai dotti che la vita è l’aldiqua e l’aldilà; non ho solo l’aldiqua per capire, ma ho anche l’aldilà, la meta, il vero traguardo. Per questo occorre vivere con amore, passione e responsabilità quanto ci viene dato, evitando di scivolare sulla vita come se niente fosse; per questo occorre non perdere nessuno fin da subito.

Una Via Crucis che non finisce mai
Nei giorni successivi, guidati dai nostri frati della Provincia dell’Ucraina, abbiamo viaggiato nelle regioni occidentali del Paese, tra Ternopil, Zbarazh, Zolo?iv, Sudova Vishnia, per poi rientrare nell’Unione europea attraverso il confine polacco la sera del Giovedì santo. Con i frati e il Ministro generale scegliamo di vivere questo pellegrinaggio visitando le persone, ascoltando le loro storie che si  assomigliano molto ma che brillano dell’unicità di ogni fratello e sorella che apre la stanza intima e ci fa entrare come amici e ospiti di pochi istanti; sono storie che sanguinano, chi più chi meno. Davvero quest’anno, nella Santa settimana, vivo una Via crucis che non finisce mai. In questi giorni in cui anche la Liturgia mischia l’odore del sangue, la puzza della morte con il profumo di Cristo, sperimento l’assoluta impotenza di chi è vicino a Cristo e non ha parole e prova a gridare a Dio.
Dal primo giorno, dal primo centro di rifugiati, ho la netta percezione che le macerie non sono le case distrutte dai missili, gli edifici segnati dai bombardamenti: no, questi saranno ricostruiti e forse saranno ancora più belli! Stiamo incontrando le macerie di persone abusate da un attacco che si credeva impossibile, le macerie di un’umanità violata nei sogni interrotti e nel futuro assolutamente incerto, stiamo ascoltando le macerie che l’uomo registra nella memoria come in una scatola nera e che non sappiamo quanto odio, rabbia e violenza sapranno a loro volta generare.
A Zbarazh ci accolgono i Frati minori e il Sindaco: il villaggio di più di 14.000 abitanti ha accolto oltre 4000 rifugiati. La sede del Comune è diventata il centro di accoglienza e di smistamento dei fratelli e sorelle che continuano a lasciare le zone dove è sempre più pericoloso ostinarsi a restare. La condivisione tra comunità civile e religiosa è speciale, una “scuola di relazioni”: davvero la povertà ci rende umili creando spazi di concordia, condizioni per la collaborazione, disponibilità al dialogo, solidarietà nella prova e creatività nel bene.
Prima di entrare in una grande palazzetto dello sport di recente costruzione, incontriamo Sergej, un giovane marito e padre trentenne di due bambini, tra i primi a lasciare dopo il 24 febbraio Kharkiv con la famiglia. Il volto di Sergej è sorridente, stava per andare via con l’auto ma, dopo averci visti con il saio, ritorna; si presenta e ha parole di riconoscenza subito perché ci siamo, siamo lì con loro. Con la moglie, la suocera, i bambini e un gatto aveva pensato di trascorrere pochi giorni nel villaggio e poi dirigersi da famiglie amiche in Europa, ma invece ha scelto di restare e prestare il suo servizio per coloro che ancora arrivano dall’assurdo. Mi tornano alla mente le parole di san Francesco, che nel Saluto alle virtù lega la sapienza alla santa semplicità: mentre lo ascolto trovo in questo giovane fratello sapienza e semplicità impastate e, come prodotto finale, una squisita carità. Spiega come è difficile entrare e poter dire una parola seria e serena nella questione politica complessa nel Donbass; “ogni imposizione che schiaccia altre identità è una bomba a orologeria”.

La vita nuova che ha vinto, vince e vincerà
Mentre ascolto Sergej interessato, una bambina continua a girare attorno canticchiando, libera, serena, tocca il saio per attirare l’attenzione e corre divertita. È Alexandra, sei anni, un gioiello di vitalità! La madre, una donna il cui volto è invece una maschera di dolore, la richiama per non infastidirci. In realtà mi diverte e si crea una sintonia bellissima; saprò dopo l’ennesima storia di sangue, di separazione forzata, di morte che ha travolto la loro famiglia. Ma Alexandra sembra volermi annunciare la Pasqua, la primavera che lotta con l’inverno, la vita più forte della morte, la vita nuova che ha vinto, vince e vincerà. Sono coinvolto da questa sua energia, dalla verità dei piccoli, benedetti da Gesù: giochiamo e penso che non vorrei essere da nessun’altra parte. Trovo che la bellezza della vita nuova è grande quando sa esaltare la ferita anche quando sanguina.
Mi accompagna nei vari spostamenti un libro che due amici, Francesca e Michele, mi hanno regalato: Ucraina. La guerra che non c’era2. Quanto è pericoloso il nostro parlare senza conoscere le fonti e per sentito dire: confonde un mondo confuso. Solo dal di dentro si intuisce
qualcosa, come tutto, del resto; percepisci la paura di alcune donne che si scusano perché mentre parlano, usano parole russe e si tappano la bocca, quasi fossero bestemmie; scopri il valore della luce nel buio del coprifuoco che dalle ore 22.00 deve essere assoluto; conosci la
fierezza di un popolo, di donne, spose e madri che preferiscono lasciare i numerosi figli ai nonni per andare a combattere perché “se il fine è giusto, non può essere sbagliata la lotta”; inizi a percepire il contraccolpo che tutto questo avrà sull’Occidente considerando le distese
immense di grano che non verrà curato quest’anno.
Mi ha commosso la storia di bambini che, a causa del trauma dei primi giorni, non mangiavano più; la psicologa era angosciata e a stento tratteneva le lacrime mentre ci raccontava. Poi ecco la terapia migliore: i bambini del paese ospitante, che non avevano sentito sirene e
bombardamenti, hanno coinvolto quelli traumatizzati nei giochi e quando le mamme hanno preparato la merenda, i giochi si sono fermati e così, in modo naturale, chi rifiutava il cibo, si è trovato semplicemente a mangiare con gli altri. Vita chiama altra vita.
Sono i giorni santi, il sole primaverile scalda l’aria ancora fredda e tagliente: penso ad Assisi, alla Porziuncola, alle liturgie che i miei frati stanno celebrando con tanti pellegrini che sono finalmente tornati. Qui tutto è semplice e tanto dignitoso. In ogni luogo i frati hanno organizzato uno spazio di preghiera ecumenica con i fratelli greco-cattolici, ortodossi e protestanti; respiriamo una fraternità reale, un ecumenismo non più sui testi di teologia ma vissuto sul campo, un’amicizia che profuma di compimento, quello che dalla croce, il Venerdì
santo, Cristo ci ha consegnato. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34). Dove sta la novità? Nel come io, così voi! Ma, ancor di più, Gesù ci manifesta un modo perché Dio resti vivo sulla terra, in mezzo a noi, sempre: amare come Lui ci ha amato per primo, per renderlo presente più che mai sulla terra, “perché vedano le vostre opere buone e glorifichino il padre che è nei cieli” (Mt 5, 16).
Quando Dio ti dà un appuntamento è perché ti vuole far toccare la sua carne.

P. FRANCESCO PILONI, MINISTRO PROVINCIALE
PROVINCIA SERAFICA DI S. FRANCESCO O.F.M.

Fonte:

La Santa Settimana in Ucraina: quando Dio ti dà un appuntamento!

La Chiesa ha una missione di verità da compiere, in ogni tempo e in ogni evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione. Chiamare per nome il male, riconoscere che i fratelli Caino e Abele continuano la loro lotta fratricida, rende evidente la questione fondamentale e che i cristiani debbono avere chiaro per essere a servizio della verità che libera; la domanda giusta non è se armare gli ucraini è giusto o meno, ma: come favorire il dialogo fra Caino e Abele? Quale mediazione mettere in campo perché il confronto e lo scontro diventino incontro?

Articolo tratto dalla rivista “Testimonianze”

Il Serra Club di Asti incontra una comunità cittadina prima della pausa estiva …..

Sabato 9 luglio, Viatosto, Asti: ridente frazione a pochi passi dalla città, vista meravigliosa sull’arco alpino e splendida chiesa romanica dedicata alla Madonna, gioiello della città e meta di turisti tutto l’anno . I numerosi  Serrani incontrano il parroco di Viatosto-Valmanera che ricopre anche l’incarico di cappellano del vicino ospedale cittadino. Una serata amichevole, piacevole, estiva, senza troppa serietà, ma in amicizia e convivialità; ricca di spunti e contenuti. Un piacere dialogare col parroco, don Giancarlo Iraldi, interessante ascoltare i membri della comunità dei fedeli, buona la compagnia. A seguire la messa alle 21, officiata dal parroco, all’interno della parrocchiale. Il Serra ha offerto ai parrocchiani aiuto, disponibilità, ascolto e sostegno; la presidente Mariarosa Poggio, la tesoriera Giovanna Bonino, il Socio Piero Carbone alle vocazioni e i Serrani presenti hanno illustrato ai convenuti le finalità del Club e la vita del santo Junipero Serra fondatore dei tanti Gruppi sparsi nel mondo: incontro proficuo e molto gradevole, sicuramente da ripetere, nella stessa comunità. Un sentito ringraziamento al parroco, alla comunità di Viatosto e ai Serrani presenti. Buone vacanze a tutti dal Club di Asti!.

M. Poggio

Club di Caltagirone. Consegna credenziali Cammino di Santiago a due seminaristi

Il 13 luglio nella Basilica di San Giacomo a Caltagirone al termine della celebrazione eucaristica vocazionale vespertina presieduta dal Rettore del Seminario calatino Don Salvo Luca con la partecipazione dei seminaristi, il socio serrano Prof. Massimo Porta, Priore per la Sicilia della Confraternita San Jacopo di Compostella, assieme al Presidente del Serra Club Caltagirone Dott. Mario Amore, hanno effettuato la consegna delle credenziali del Cammino di Santiago a due giovani seminaristi, Michele Sentina ( V° anno ) ed Alessandro Di Martino ( III° anno ).

Percorrere il Cammino di Santiago significa prendere parte ad una esperienza spirituale totalizzante. Al di là del motivo che spinge a percorrerlo, è necessario essere pronti ad accogliere emozioni intense perché comunque lo si deve considerare un percorso di meditazione. Auguriamo ai nostri due seminaristi buon cammino. San Giacomo Patrono di Caltagirone e della diocesi li protegga e fortifichi i loro buoni propositi perché possano crescere nella fede e diventare sacerdoti secondo il cuore di Cristo.

Mario Amore

CNIS di Assisi – Online gli interventi dei relatori

Condividiamo con tutti i soci del Serra International Italia gli interventi di alcuni tra i relatori intervenuti all’ultimo CNIS svoltosi ad Assisi lo scorso 4 giugno 2022.

Desiderio Desideravi: riscoprire la liturgia anche attraverso la musica

“Continuiamo a stupirci per la bellezza della liturgia”: a lanciare l’invito è papa Francesco, nella Lettera apostolica sulla liturgia “Desiderio desideravi”, pubblicata lo scorso 29 giugno per richiamare il significato profondo della Celebrazione Eucaristica, così come è emersa dal Concilio Vaticano II, ed invitare alla formazione liturgica, a partire dai seminari. “A noi non serve un vago ricordo dell’ultima Cena: noi abbiamo bisogno di essere presenti a quella Cena”, esordisce Francesco: “Vorrei che la bellezza del celebrare cristiano e delle sue necessarie conseguenze nella vita della Chiesa non venisse deturpata da una superficiale e riduttiva comprensione del suo valore o, ancor peggio, da una sua strumentalizzazione a servizio di una qualche visione ideologica, qualunque essa sia”. No alla “mondanità spirituale”, ribadisce il Papa, secondo il quale la liturgia “non è la ricerca di un estetismo rituale che si compiace solo nella cura della formalità esteriore di un rito o si appaga di una scrupolosa osservanza rubricale”, e neanche l’atteggiamento opposto, “che confonde la semplicità con una sciatta banalità, l’essenzialità con una ignorante superficialità, la concretezza dell’agire rituale con un esasperato funzionalismo pratico”.

“Ogni aspetto del celebrare va curato (spazio, tempo, gesti, parole, oggetti, vesti, canto, musica, …) e ogni rubrica deve essere osservata”, l’appello di Francesco, che si sofferma su un elemento essenziale della celebrazione liturgica: “lo stupore per il mistero pasquale”.

In quest’ottica, ben si inserisce il concorso musicale attivato da Serra Italia durante quest’ultimo anno sociale per tutti i seminaristi d’Italia, il cui fine è appunto quello di promuovere e valorizzare le potenzialità dei futuri sacerdoti, affinché ogni aspetto della celebrazione sia curato. D’altronde, è proprio attraverso la musica – sostiene mons. Marco Frisina, nostro giurato – che “si può comunicare il Vangelo nella sua verità di Buona Notizia, di gioiosa notizia che libera il cuore dell’uomo dalle meschinità del peccato e lo innalza fino a Dio”.