La Chiesa e l’arte
La Chiesa e l’arte.
di don Paolo Prunotto, parroco di Quattordio (AL) – Diocesi di Asti Piemonte.
Siamo tutti ben consapevoli come nell’approccio personale ad un’opera d’arte, qualunque essa sia, non ci si debba fermare alla sola e vaga impressione che essa sa suscitare nei primi istanti di visione o di ascolto. All’inizio, infatti, prevale in ciascuno di noi il giudizio prettamente estetico e, comunque, sempre soggettivo: mi piace… non mi piace; è bella… è brutta. Considerazioni inevitabilmente superficiali, non meditate, frutto della dimensione puramente “sentimentale” del momento, senza l’indispensabile e ponderata “razionalità”. Sappiamo, altresì, che un avvicinamento più riflessivo e documentato all’arte rechi con sé innumerevoli sfaccettature, di solito sempre positive e arricchenti. Un’opera può essere sviscerata dal punto di vista storico (per ciò che rappresenta), dal punto di vista filosofico (esempio Rembrandt), antropologico, pedagogico, metafisico (esempio i dipinti di Hieronymus Bosch o di René Magritte), paesaggistico (i pittori “vedutisti” e “arcadici” tra XVIII e XIX secolo), per la storia del costume, per l’architettura, la geometria… e, ovviamente, la teologia e la fede. Ed è su quest’ultimo aspetto che desideriamo concentrare queste semplici e, certamente, non esaustive considerazioni.
Una piccola digressione, scevra da vena polemica. Chiunque tra noi abbia la fortuna di varcare la soglia di un museo, di visitare una città, di ascoltare musica (generalmente classica), non potrà non notare come la maggior parte della produzione artistica, soprattutto del passato, sia di matrice prettamente religiosa. I nostri musei di arti visive, ad esempio, sono stracolmi di quadri e statue a soggetto principalmente sacro. Nelle grandi pale d’altare, come nei più dimessi quadretti prodotti per la devozione privata o familiare, campeggiano Madonne, Santi in gloria, episodi biblici o della vita del Signore e dei martiri. Perché oggi, nella nostra società contemporanea, multietnica, multiculturale e multireligiosa, abbiamo scientemente deciso di non voler riconoscere le nostre indubbie “radici” culturali e religiose? L’accoglienza dell’altro non implica necessariamente il disconoscimento di se stessi, della propria tradizione, dei propri riferimenti culturali, della propria fede. Non si impone nulla ad alcuno, si è semplicemente se stessi, sempre comunque disposti ad accogliere ciò che di buono, di bello, di nobile e di universalmente valido riscontriamo negli altri, come ben sottolineano diversi documenti del Concilio Vaticano II.
Quindi, iniziamo la riflessione con un semplice quesito: perché la Chiesa, nel corso dei secoli, ha sempre promosso, incoraggiato e sostenuto le arti e gli artisti? L’immediata e più scontata e forse banale risposta potrebbe essere così formulata: perché nell’arte si è individuata la prima e più facile espressione del prestigio, del potere e del fasto. Certo, se pensiamo alla vasta e straordinaria produzione artistica rinascimentale queste considerazioni e sentimenti di natura prettamente “mondana” appaiono più che avvalorati. Non può essere sottaciuto o celato il fatto che i papi, soprattutto del tardo Quattrocento e del Cinquecento, abbiano visto nell’arte una splendida occasione per avvalorarsi alla stregua degli altri monarchi e delle altre potenze “mondiali” all’epoca in auge, soprattutto europee. Il circondarsi di opere preziose e belle denotava e connotava il prestigio raggiunto, il potere economico acquisito, una sorta di “status symbol” dalla forza eloquente e universalmente riconosciuta, oltre che, ovviamente, la ricerca personalistica dell’agio o del benessere del proprio clan familiare (si pensi, ad esempio, ai giustamente contestatissimi Borgia). Dobbiamo però ammettere che questa sete “mondana”, sicuramente non evangelica e da molti punti biasimevole, ha concesso e regalato all’umanità opere di straordinario ingegno artistico.
Di seguito sono offerti alcuni semplici spunti di riflessione; umili considerazioni senza pretesa di completezza o esaustività; mentre ringrazio di cuore della benevola attenzione.
Mi preme, dunque, concentrare l’attenzione sulle motivazioni più nobili che hanno spinto la Chiesa, nel corso del tempo, a incoraggiare l’arte in tutte le sue espressioni.
- LA DIMENSIONE “ESTETICA”. Nel Libro della Genesi ci viene comunicato come sia lo stesso Signore a compiacersi della propria Creazione, ad ammirare l’uomo come realtà inizialmente buona e positiva perché da Lui direttamente voluto: “Fatto simile a noi”. Dio conferisce all’umanità il suo stesso “potere” creativo, segnato unicamente dal limite inerente alla propria condizione di creatura e non di Creatore. Dio crea cose belle e buone e l’uomo, analogamente, è chiamato ad elaborare ciò che gli è stato affidato dal Signore producendo, anch’egli, realtà belle e buone.
Fin dall’origine, dunque, la dimensione “artistico/creativa” dell’uomo è vocata (“chiamata”) ad esercitarsi ed esprimersi ai suoi massimi livelli. L’uomo deve produrre il bello e il buono, non solo l’utile, perché ciò che è bello e buono è richiamo a Dio, fa riferimento a Lui e al Suo mondo, avvicina la condizione umana a quella divina, aiuta ad elevare lo spirito, la mente e il cuore alla dimensione eterna, trascendente, intramontabile… In altre parole: ciò che di bello produciamo ci avvicina al Sommo Bello; ciò che di bene facciamo ci avvicina al Sommo Bene e, analogamente, se facciamo il male ci allontaniamo da ciò che è Sommo in ciò che è meglio, ci distanziamo da Dio. L’Umanità che ripudia Dio, secondo quanto ci vien sempre riferito nel Libro della Genesi, non trova la propria emancipazione dal Signore ma si allontana da Lui: il Creatore diventa un estraneo; l’io personale si “ammala” di egoismo; l’altro non è più da amare ma da accusare; la natura si ritorce contro… In sintesi: la Chiesa ha voluto si producessero cose belle perché il bello è un forte richiamo a Dio e eleva lo spirito e l’anima umani all’orizzonte dell’eterna Bellezza.
- LA DIMENSIONE “CATECHETICO – PEDAGOGICA”. È indubitabile come, soprattutto nel passato, si rendesse indispensabile veicolare i messaggi più alti e nobili della fede e la conoscenza delle “verità fondamentali” attraverso mezzi che fossero immediatamente alla portata di tutti, non solo delle persone colte che, come sappiamo, erano una sparuta minoranza. Il popolo, come ancor oggi tutti noi, andava “nutrito” della Parola di Dio, una parola che poteva, dai più, essere solo ascoltata ma non letta. Un’occasione in più era evidentemente offerta dalla produzione delle immagini. Nel Medioevo molte chiese della nostra Penisola erano interamente ricoperte di affreschi murali, non solo raffigurazioni del Signore, della Vergine Maria o dei Santi ma, anche, di molti riquadri entro i quali erano raffigurati, in modo plastico, i principali avvenimenti dell’Antico e del Nuovo Testamento come, anche, della vita della Madonna o dei martiri.
Ne sono ancor viva testimonianza di ciò alcune antiche chiese campestri medievali o tardo medievali presenti sulla catena alpina, anche piemontese (esempio lampante in tal senso è la parrocchiale di Elva, sulle montagne cuneesi – XV/XVI secolo). A livello nazionale possiamo pensare al meraviglioso ciclo di affreschi sulla vita di San Francesco presente nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi, opera del sommo Giotto (XIII secolo). Allo stesso Giotto si deve la Cappella degli Scrovegni di Padova. Meno noti, ma di straordinario valore artistico e iconografico, le decorazioni della chiesa Collegiata di Santa Maria Assunta nello splendido borgo medievale toscano di San Gimignano (Antico e Nuovo Testamento, Giudizio Universale, Storie della vita di San Nicola, Santi vari…). Di questa mentalità catechetico/pedagogica è segno, inequivocabile, ciò che si attua nella maggior parte delle chiese parrocchiali della nostra Penisola a partire dalla fine del XVI secolo. Mi riferisco alla strabiliante diffusione delle compagnie laicali della Beata Vergine del Rosario. Il 7 ottobre 1571 la coalizione degli stati e dei regni cattolici, sotto l’egida del Papa, fermò, durante una straordinaria battaglia navale a Lepanto (Grecia), l’ormai inesorabile avanzata di conquista territoriale turco/musulmana dell’Europa. La vittoria cristiana fu attribuita dal papa San Pio V, Alessandrino, all’intercessione della Vergine Maria, invocata come Regina del Rosario. Da qui il nascere e l’incrementarsi sensibilmente della devozione alla Madonna, il sorgere in quasi ogni paese delle associazioni popolari del Rosario, l’innalzarsi di chiese e oratori pubblici e privati, cappelle laterali e sacelli in onore della Madre di Dio. Gli altari vengono adornati da splendide pale riproducenti la Madonna e il Bambino intenti a consegnare a San Domenico di Guzman e a Santa Caterina da Siena le “mistiche” corone del Rosario.
Nelle molte comunità del sud Piemonte maestri indiscussi di raffinatezza in tali raffigurazioni furono i noti pittori Guglielmo Caccia (1568-1625), detto il “Moncalvo”, e la figlia Orsola Maddalena (1596-1676). Risulta interessante notare come in tali quadri d’altare siano anche raffigurati, in diverse e fantasiose disposizioni, i quindici Misteri. Lo scopo era evidente: aiutare i fedeli, durante la preghiera, a concentrare l’attenzione sul Mistero enunciato ponendo, sotto gli occhi di tutti, l’immagine visiva del Mistero stesso. Ecco una testimonianza ulteriore di come la Chiesa ha e avesse a cuore l’insegnamento, la catechesi, la preghiera comunitaria o personale… sostenendo e facilitando il fedele anche con aiuti di tipo “visivo” e “tangibili”.
- LA DIMENSIONE “DEVOZIONALE”. Fine ultimo della Chiesa è che l’uomo trovi la sua giusta armonia con Dio, con se stesso, con i fratelli, con il creato. In questa continua e ininterrotta ricerca, un posto rilevante è da attribuirsi alla devozione o, come un tempo si diceva, alla “pietas”. L’arte sacra, con la dolcezza delle sue raffigurazioni (si pensi alle sublimi e algide Madonne di Raffaello, tanto per citare un sommo maestro) e con la maestosità delle sue composizioni cromatiche, scultoree o musicali, è chiamata ad elevare lo spirito, riscaldare i cuori, infondere sane emozioni, orientare e spingere al bene (“Caritas Christi urget nos!”), indicare il cammino e la meta ultima (la “Casa del Padre”). Ciò avviene attraverso il costante ed intimo percorso “devozionale” di ciascuno di noi. Contemplare un’opera d’arte sacra dovrebbe aiutarci a riflettere sul senso del nostro vivere, sull’orientamento che stiamo imprimendo all’esistenza… in una parola suscitare un atteggiamento “orante”. Le opere artistiche religiose sono state prodotte, dai grandi e celebri come dai più umili o sconosciuti autori, per suscitare la devozione e la preghiera. Chi di noi non ricorda di essersi raccolto innanzi ad una statua mariana custodita in un grande santuario o all’interno di una semplice e dimessa chiesa campestre “trasudante” intima spiritualità? Chi non rimpiange, magari ritornando con la mente alla propria infanzia, le semplici, umili e incerte preghiere di un fanciullo innanzi ad un quadretto sacro nella propria casa o, forse, all’asilo, qualora avesse frequentato le scuole rette dalle suore? Chi non ha mai rammentato le care immagini sacre della propria chiesa parrocchiale quando è stato costretto, dalla vita o dalle circostanze, a stare lontano dal proprio paese natio?