Taranto: silenzio e ascolto nella poesia di Josè Minervini

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Il tema del nostro anno serrano è stato declinato, martedì 22 ottobre, in un incontro affascinante intorno alla magia dei versi. Al centro la conversazione fra la nostra amica serrana Josè Minervini, scrittrice e poetessa, e il giornalista Silvano Trevisani. Di fronte ad un pubblico numeroso ed attento i due interlocutori hanno cercato di spiegare come nasce la poesia.

La bellezza di un verso, di un susseguirsi di parole che risuonano nell’animo, non è frutto del caso ma di una empatia profonda con persone, luoghi, immagini. Perché la poesia sgorgata dalla penna possa essere accolta e trasformarsi dal sentire del poeta al sentire dell’uomo come tale, è necessario che sia stata trattenuta nel cuore e coltivata con l’arte del silenzio e dell’ascolto. Sgorgano i versi come una esigenza ineludibile per esprimere quanto l’affollarsi dei sentimenti e delle rimembranze dicono all’autore. “Sento a volte il tormento della parola” ha detto Josè Minervini commentando alcune poesie tratte dalla silloge “Voce dei verbi” che ha recentemente pubblicato. Tormento perché scrivere in versi è come suonare un invisibile spartito che abbiamo dentro e che vuole ascoltarsi in parole che facciano risuonare l’emozione provata, la sacralità di un incontro, l’esigenza di alzare lo sguardo. Dal silenzio nasce questo suono di parole che porta su sentieri tanto evanescenti quanto reali e compiuti nell’animo umano. Ritmi, accenti, sonorità . Il linguaggio poetico, è in grado di cogliere e di dare voce a esigenze profonde dell’uomo, mescolando in modo indissolubile scrittura, senso del ritmo, musicalità della parola e rivelazione di particolari significati. E’ in grado di raccontare la vita.

Come? La nostra poetessa, in questa sua silloge l’ha raccontata con i verbi. Lavorare, leggere, scrivere, ricordare, fuggire.. per ciascuno ha trovato racconti, parole e suoni. Un fraseggio serrato fra due amici Josè e Silvano che hanno spiegato come non si può fare poesia senza un’esperienza di contemplazione della realtà. E la parola diventa “spiga di grano, radice di seme”.