Club dell’Aquila. Fabio Zavattaro interviene al Convegno sul Sinodo per i giovani
/in Cultura Vocazionale, Vita dei ClubPubblichiamo qui di seguito l’intervento del vaticanista, Fabio Zavattaro, in occasione del recente incontro organizzato dal Serra Club dell’Aquila su “Il Sinodo, i Giovani e la Fede”.
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Vorrei iniziare questa mia riflessione sull’esortazione apostolica di Papa Francesco Christus vivit rivolta ai giovani, e a tutto il popolo di Dio, a conclusione del Sinodo di ottobre, con una citazione: “La Chiesa è desiderosa che la società che voi vi accingete a costruire rispetti la dignità, la libertà, il diritto delle persone: e queste persone siete voi […] Lottate contro ogni egoismo. Rifiutate di dare libero corso agli istinti della violenza e dell’odio, che generano guerre e il loro triste corteo di miserie. Siate: generosi, puri, rispettosi e sinceri. E costruite nell’entusiasmo un mondo migliore di quello attuale. La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore.”
Molto attuale, grande sintonia con le affermazioni di Papa Francesco; eppure è un testo di diversi anni fa, del Concilio ecumenico Vaticano II, 7 dicembre 1965: è il messaggio che Papa Paolo VI ha consegnato alle giovani generazioni, a nome dei padri conciliari. Si tratta di uno dei sette messaggi che la Chiesa, al termine dell’assise, ha affidato al mondo: ai giovani, dunque, assieme agli altri destinati ai governanti, alle donne, agli uomini di cultura, quest’ultimo affidato alle mani di Jacques Maritain. Sembra che in quel 1958, regnante Pio XII, si preparasse una condanna nei confronti del filosofo francese; il testo avrebbe dovuto uscire nella seconda metà del mese di ottobre, ma il 9 Papa Pacelli concludeva la sua esistenza terrena, e di quel documento si sono perse le tracce.
Il sinodo di ottobre dello scorso anno dal titolo “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, si è concluso, dunque, con una lettera dei padri sinodali ai giovani, nella quale si legge: “sappiamo delle vostre ricerche interiori, delle gioie e delle speranze, dei dolori e delle angosce che costituiscono la vostra inquietudine. Desideriamo che adesso ascoltiate una parola da noi: vogliamo essere collaboratori della vostra gioia affinché le vostre attese si trasformino in ideali. Siamo certi che sarete pronti a impegnarvi con la vostra voglia di vivere, perché i vostri sogni prendano corpo nella vostra esistenza e nella storia umana. Le nostre debolezze non vi scoraggino, le fragilità e i peccati non siano ostacolo alla vostra fiducia. La Chiesa vi è madre, non vi abbandona”.
In queste parole ritroviamo il senso della lettera del Concilio, ma anche un chiaro riferimento al Vaticano II e, soprattutto, alla costituzione pastorale Gaudium et spes. Questo per dire che il tema giovani è sempre stato in primo piano nella vita della chiesa.
Alcune citazioni ci aiuteranno a comprendere meglio la costante attenzione. Così Giovanni XXIII, nel 1961, ricordava la perenne giovinezza della Chiesa, e ai giovani diceva: alla vostra età “tutto sorride nella vita, e le stesse difficoltà non atterriscono, ma sono di sprone a lottare per superarle. Voi portate un messaggio di speranza, benedetto da Dio stesso: e, siatene certi, esso trova eco di particolare benevolenza nel nostro cuore. Tutti fummo giovani: tutti lo siamo nel cuore: tutti partecipiamo alle gravi preoccupazioni dei giovani di oggi, per la loro sanità morale, per le loro giuste aspirazioni, per il loro inserimento nel mondo del lavoro e nella società”.

Nunzio Sulprizio
Abbiamo già detto del messaggio di fine Concilio, ma proprio durante il Vaticano II, primo ottobre 1963, Paolo VI beatificava un giovane nato in provincia di Pescara e morto a Napoli: Nunzio Sulprizio. Montini, nell’omelia della beatificazione, così si rivolgeva ai giovani: Nunzio “dirà a voi, giovani, come la vostra età è stata da lui illuminata e santificata; egli è una gloria vostra. Egli vi dirà come la gioventù non dev’essere considerata l’età delle libere passioni, delle inevitabili cadute, delle crisi invincibili, dei pessimismi decadenti, degli egoismi dannosi; egli vi dirà piuttostcome l’essere giovani è una grazia, è una fortuna. S. Filippo ripeteva: Beati voi, giovani, che avete tempo di far bene. È una grazia, è una fortuna essere innocenti, essere puri, essere lieti, essere forti, essere pieni di ardore e di vita, come appunto sono e dovrebbero essere gli uomini che ricevono il dono dell’esistenza fresca e nuova, rigenerata e santificata dal battesimo; ricevono un tesoro che non va sciupato follemente, ma conosciuto, custodito, educato, sviluppato, e rivolto a produrre frutti vitali, benefici per sé e per gli altri. Egli vi dirà che nessuna età come la vostra, giovani, è idonea ai grandi ideali, ai generosi eroismi, alle coerenti esigenze di pensiero e di azione”.
Giovanni Paolo II, come sappiamo, ha inventato le giornate mondiali della gioventù. Ma già nel primo giorno del suo Pontificato si rivolse ai giovani dicendo: “voi siete il futuro del mondo, la speranza della Chiesa, la mia speranza”. Giovani come “sentinelle del mattino”, cercatori di verità, per questo a Denver, Stati Uniti, il 12 agosto 1993, disse: “educare i giovani senza un sistema di valori basato sulla verità significa abbandonarli alla confusione morale, all’insicurezza personale e a ogni manipolazione. Nessun paese, neanche il più potente, può sopravvivere, se priva i propri figli di questo bene essenziale”.
Con Benedetto XVI, a Colonia 18 agosto 2005, i giovani si sono sentiti chiamati a riflettere sulla condizione del mondo. “Ci domandiamo: dove trovo i criteri per la mia vita, dove i criteri per collaborare in modo responsabile all’edificazione del presente e del futuro del nostro mondo? Di chi posso fidarmi – a chi affidarmi? Dov’è Colui che può offrirmi la risposta appagante per le attese del cuore? Porre simili domande significa innanzi tutto riconoscere che il cammino non è concluso fino a quando non si è incontrato Colui che ha il potere di instaurare quel Regno universale di giustizia e di pace a cui gli uomini aspirano, ma che non sanno costruire da soli. Porre tali domande significa poi cercare Qualcuno che non si inganna e non può ingannare ed è perciò in grado di offrire una certezza così salda da consentire di vivere per essa e, nel caso, anche di morire”.
Infine, Francesco, a Rio del Janeiro, il 23 luglio 2013, diceva ai giovani di non essere “cristiani part-time; non cristiani ‘inamidati’, con la puzza al naso, così da sembrare cristiani e, sotto sotto, non fare nulla; non cristiani di facciata, questi cristiani che sono ‘puro aspetto’, ma cristiani autentici”. Gesù, diceva ancora Papa Francesco, “ci chiede di seguirlo per tutta la vita, ci chiede di essere suoi discepoli, di ‘giocare nella sua squadra’ […] Gesù ci offre qualcosa di superiore della Coppa del Mondo, ci offre la possibilità di una vita feconda, di una vita felice e ci offre anche un futuro con lui. E se commettete un errore nella vita, se fate uno scivolone, se fate qualcosa che è male, non abbiate paura”.
Viene dunque da lontano questo Sinodo e l’esortazione apostolica Christus vivit rivolta ai giovani e a tutto il popolo di Dio – ecco un’altra espressione del Concilio che Francesco utilizza molto spesso, e che preferisce alla parola laici – a conclusione dei lavori sinodali. Il documento è una sorta di magna charta per la pastorale giovanile – anzi una “pastorale giovanile popolare” – per dire che la “gioventù non esiste, esistono i giovani”. Ed è alla luce di questa affermazione, punto di partenza del testo, che il Papa si pone all’ascolto dei giovani – “l’apostolato dell’orecchio” – e dice: “chiediamo al Signore che liberi la Chiesa da coloro che vogliono invecchiarla, fissarla sul passato, frenarla, renderla immobile. Chiediamo anche che la liberi da un’altra tentazione: credere che è giovane perché cede a tutto ciò che il mondo le offre, credere che si rinnova perché nasconde il suo messaggio e si mimetizza con gli altri. No. È giovane quando è sé stessa, quando riceve la forza sempre nuova della Parola di Dio, dell’Eucaristia, della presenza di Cristo e della forza del suo Spirito ogni giorno”.
Francesco propone una Chiesa diversa, che sappia mostrare “altri sogni che questo mondo non offre, di testimoniare la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, della fortezza, del perdono, della fedeltà alla propria vocazione, della preghiera, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale”.
Lo sguardo di Papa Francesco è sempre uno sguardo positivo, si fida di loro – “vi farò una confidenza…”; “voglio parlarvi da persona a persona” – e prova a sollecitare una risposta sempre più esigente: “Cristo è più importante della Coppa del mondo”, disse ai giovani a Rio, la sua prima Gmg da Papa. Punta al cuore dei giovani Francesco, più che ai comportamenti esteriori, e parla di incontro, di conoscenza. Li sollecita a creare ponti, dialogo, relazioni; a entrare in sintonia e in confidenza reciproca; a porsi delle domande e a mettersi in ricerca. La Chiesa, dice il Papa, può essere tentata di perdere l’entusiasmo e cercare “false sicurezze mondane. Sono proprio i giovani che possono aiutarla a rimanere giovane”.
Ancora, leggiamo nella Christus vivit: ci sono giovani i quali sentono la presenza della Chiesa “come fastidiosa e perfino irritante”. Ma non si nasconde Francesco che questa visione affonda le radici “anche in ragioni serie e rispettabili: gli scandali sessuali ed economici; l’impreparazione dei ministri ordinati che non sanno intercettare adeguatamente la sensibilità dei giovani; il ruolo passivo assegnato ai giovani all’interno della comunità cristiana; la fatica della Chiesa di rendere ragione delle proprie posizioni dottrinali ed etiche di fronte alla società”.
Interessante, a questo punto, cogliere alcuni aspetti del quinto Rapporto dell’Istituto Toniolo dedicato ai giovani, e consegnato in preparazione del Sinodo dei vescovi. Il rapporto mette in luce la volontà dei giovani di non rassegnarsi e chiudersi in difesa; di poter contare di più, sia nella possibilità di operare scelte che riguardano la propria vita, sia nelle decisioni collettive. Più spesso, rispetto ad altri paesi europei, si trovano in una condizione di disorientamento che frena le loro scelte. Per quanto riguarda le aspettative professionali, il 40,7 per cento dichiara di avere un’aspirazione ma teme di non riuscire a realizzarla; un dato superiore, per esempio, rispetto ai giovani spagnoli, 35,3 %, ai loro coetanei francesi 33,6 %, e inglesi e tedeschi, che non arrivano al 30%. Un dato che pesa anche sulla realizzazione di altri progetti di vita, come conquistare una piena autonomia e formare una propria famiglia. Difficoltà che fanno aumentare la sfiducia verso le istituzioni, senza però cadere, almeno in buona parte, nella rassegnazione. Il 73,8% degli intervistati ritiene che sia ancora possibile impegnarsi in prima persona per cercare di far funzionare meglio le cose in Italia. La grande maggioranza, il 67,7%, presenta una predisposizione positiva al cambiamento. Anche rispetto a temi come l’immigrazione, la preoccupazione non riguarda il fenomeno in sé ma come viene gestito. Rispetto alla componente regolare solo circa il 33% pensa che peggiori sicurezza ed economia del Paese.
A questo punto è interessante leggere la prospettiva in cui si colloca Papa Francesco, nel chiedere ai giovani di impegnarsi per il loro futuro. Per questo sottolinea, sempre nella Christus vivit, che i giovani oggi chiedono “una Chiesa che ascolti di più, che non stia continuamente a condannare il mondo. Non vogliono vedere una Chiesa silenziosa e timida, ma nemmeno sempre in guerra per due o tre temi che la ossessionano. Per essere credibile agli occhi dei giovani, a volte ha bisogno di recuperare l’umiltà e semplicemente ascoltare, riconoscere in ciò che altri dicono una luce che la può aiutare a scoprire meglio il Vangelo”. Ad esempio, una Chiesa troppo timorosa può essere costantemente critica “nei confronti di tutti i discorsi sulla difesa dei diritti delle donne ed evidenziare costantemente i rischi e i possibili errori di tali rivendicazioni”, mentre una Chiesa “viva può reagire prestando attenzione alle legittime rivendicazioni delle donne”, pur “non essendo d’accordo con tutto ciò che propongono alcuni gruppi femministi”.
Per Francesco, ancora, la Chiesa deve presentare in modo nuovo, attraente e efficace la figura di Gesù: “per questo bisogna che la Chiesa non sia troppo concentrata su sé stessa, ma che rifletta soprattutto Gesù Cristo. Questo comporta che riconosca con umiltà che alcune cose concrete devono cambiare”.
Così il Papa vuole giovani capaci di diventare “artigiani” di futuro, che non si scoraggiano se la società fatica a trovare risposte: fa male “vedere che alcuni propongono ai giovani di costruire un futuro senza radici, come se il mondo iniziasse adesso”. Giovani con radici, dice il Papa, e se qualcuno “vi fa una proposta e vi dice di ignorare la storia, di non fare tesoro dell’esperienza degli anziani, di disprezzare tutto ciò che è passato e guardare solo al futuro che lui vi offre, non è forse questo un modo facile di attirarvi con la sua proposta per farvi fare solo quello che lui vi dice? Quella persona ha bisogno che siate vuoti, sradicati, diffidenti di tutto, perché possiate fidarvi solo delle sue promesse e sottomettervi ai suoi piani. È così che funzionano le ideologie di diversi colori, che distruggono (o de-costruiscono) tutto ciò che è diverso e in questo modo possono dominare senza opposizioni”.
Francesco invita a giovani a non lasciarsi dominare da una ideologia che promuove “una spiritualità senza Dio”, una “affettività senza comunità e senza impegno verso chi soffre, una paura dei poveri visti come soggetti pericolosi, e una serie di offerte che pretendono di farvi credere in un futuro paradisiaco che sarà sempre rimandato più in là”. Questo porta ad “autentiche forme di colonizzazione culturale” che sradica i giovani dalle appartenenze culturali e religiose da cui provengono e tende ad omogeneizzarli trasformandoli in soggetti “manipolabili fatti in serie”.
Fondamentale è il rapporto tra generazioni. Lo ricordava già a Rio, il Papa, proponendo ai giovani un proverbio arabo: i giovani hanno la forza di correre, ma gli anziani conoscono la strada. Al mondo, dice, “non è mai servita né servirà mai la rottura tra generazioni… È la menzogna che vuol farti credere che solo ciò che è nuovo è buono e bello”.

epa05273385 This picture provided by Vatican newspaper L’Osservatore Romano shows Pope Francis hearing confessions of young faithfuls during the Jubilee for Teens in Saint Peter’s Square, Vatican, 23 April 2016. According to Vatican radio the Pope listened to confessions for more than an hour and was joined in the square by more than 150 priests to hear confessions. EPA/OSSERVATORE ROMANO HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES
Ecco, allora, la fatica dell’ascolto – “l’apostolato dell’orecchio” – perché, sembra dire il Papa, la Chiesa ha bisogno dello slancio dei giovani, della loro freschezza; una Chiesa che ascolta i bisogni dei giovani, non giudica ma si prende cura. Per questo può dire loro che non bisogna aspettarsi di vivere senza lavorare, dipendendo dall’aiuto degli altri. Le istituzioni della Chiesa devono diventare “ambienti adeguati”, sviluppando una “capacità di accoglienza”. Anche la scuola ha bisogno, per Francesco, di fare autocritica: “ci sono alcune scuole cattoliche che sembrano essere organizzate solo per conservare l’esistente… La scuola trasformata in un ‘bunker’ che protegge dagli errori ‘di fuori’: è l’espressione caricaturale di questa tendenza”. Quando i giovani escono, avvertono “un’insormontabile discrepanza tra ciò che hanno loro insegnato e il mondo in cui si trovano a vivere”. Mentre “una delle gioie più grandi di un educatore consiste nel vedere un allievo che si costituisce come una persona forte, integrata, protagonista e capace di dare”.
Ancora, ecco la necessità per il Papa di una pastorale giovanile popolare, “più ampia e flessibile, che stimoli, nei diversi luoghi in cui si muovono concretamente i giovani, quelle guide naturali e quei carismi che lo Spirito Santo ha già seminato tra loro. Si tratta prima di tutto di non porre tanti ostacoli, norme, controlli e inquadramenti obbligatori a quei giovani credenti che sono leader naturali nei quartieri e nei diversi ambienti. Dobbiamo limitarci ad accompagnarli e stimolarli”, si legge sempre nella Christus vivit. Pretendendo “una pastorale giovanile asettica, pura, caratterizzata da idee astratte, lontana dal mondo e preservata da ogni macchia, riduciamo il Vangelo a una proposta insipida, incomprensibile, lontana, separata dalle culture giovanili e adatta solo ad un’élite giovanile cristiana che si sente diversa, ma che in realtà galleggia in un isolamento senza vita né fecondità”. Di qui l’invito a essere “una Chiesa con le porte aperte”, che sa accogliere anche coloro che non accettano completamente tutti gli insegnamenti della Chiesa, e che “vogliono poter partecipare ad alcuni dei nostri spazi dedicati ai giovani”. Per Francesco, dunque, ci deve “essere spazio anche per tutti quelli che hanno altre visioni della vita, professano altre fedi o si dichiarano estranei all’orizzonte religioso”. Giovani missionari tra i loro coetanei. Assetati di verità, ricercatori di bellezza, appassionati della vita; capaci di sognare: “nell’ obiettività della vita deve entrare la capacità di sognare. E un giovane che non è capace di sognare è recintato in sé stesso, è chiuso in sé stesso”.
Giovani, ancora, che non si lascino rubare “il desiderio di costruire nella vita cose grandi e solide! È questo che vi porta avanti. Non accontentatevi di piccole mete”. A Torino il Papa ricorda le parole di Pier Giorgio Frassati: “vivere, non vivacchiare! Vivere!”. Allora, non bisogna abbattersi di fronte alle difficoltà, ma trasformarle in opportunità: “davanti a una esperienza negativa c’ è sempre la possibilità di aprire un orizzonte, di aprirlo con la forza di Gesù”; di avere il coraggio di andare controcorrente, costruttori di una umanità nuova, cittadini responsabili e non “massa trascinata dalle forze dominanti”.
Bello il messaggio contenuto nel nono capitolo: “cari giovani, sarò felice nel vedervi correre più velocemente di chi è lento e timoroso. Correte attratti da quel volto tanto amato, che adoriamo nella santa eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente… La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede… E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci”.
Fabio Zavattaro