La Vocazione all’Apostolato. Papa Francesco all’Udienza Generale di Mercoledì 15 marzo

Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 7. Il Concilio Vaticano II. 2. Essere apostoli in una Chiesa apostolica

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Proseguiamo le catechesi sulla passione di evangelizzare: non solo su “evangelizzare” ma la passione di evangelizzare e, alla scuola del Concilio Vaticano II, cerchiamo di capire meglio che cosa significa essere “apostoli” oggi. La parola “apostolo” ci riporta alla mente il gruppo dei Dodici discepoli scelti da Gesù. A volte chiamiamo “apostolo” qualche santo, o più generalmente i Vescovi: sono apostoli, perché vanno in nome di Gesù. Ma siamo consapevoli che l’essere apostoli riguarda ogni cristiano? Siamo consapevoli che riguarda ognuno di noi? In effetti, siamo chiamati ad essere apostoli – cioè inviati – in una Chiesa che nel Credo professiamo come apostolica.

Dunque, cosa significa essere apostoli? Significa essere inviato per una missione. Esemplare e fondativo è l’avvenimento in cui Cristo Risorto manda i suoi apostoli nel mondo, trasmettendo loro il potere che Egli stesso ha ricevuto dal Padre e donando loro il suo Spirito. Leggiamo nel Vangelo di Giovanni: «Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo”» (20,21-22).

Un altro aspetto fondamentale dell’essere apostolo è la vocazione, cioè la chiamata. È stato così fin dall’inizio, quando il Signore Gesù «chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui» (Mc 3,13). Li costituì come gruppo, attribuendo loro il titolo di “apostoli”, perché stessero con Lui e per inviarli in missione (cfr Mc 3,14; Mt 10,1-42).  San Paolo nelle sue lettere si presenta così: «Paolo, chiamato a essere apostolo», cioè inviato, (1 Cor 1,1) e ancora: «Paolo, servo di Gesù Cristo, apostolo inviato per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio» (Rm 1,1). E insiste sul fatto di essere «apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti» (Gal 1,1); Dio lo ha chiamato fin dal seno di sua madre per annunciare il vangelo in mezzo alle genti (cfr Gal 1,15-16).

L’esperienza dei Dodici apostoli e la testimonianza di Paolo interpellano anche noi oggi. Ci invitano a verificare i nostri atteggiamenti, a verificare le nostre scelte, le nostre decisioni, sulla base di questi punti fermi: tutto dipende da una chiamata gratuita di Dio; Dio ci sceglie anche per servizi che a volte sembrano sovrastare le nostre capacità o non corrispondere alle nostre aspettative; alla chiamata ricevuta come dono gratuito bisogna rispondere gratuitamente.

Dice il Concilio: «La vocazione cristiana […] è per sua natura anche vocazione all’apostolato» (Decr. Apostolicam actuositatem [AA], 2). Si tratta di una chiamata che è comune, «come comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia di adozione filiale, comune la vocazione alla perfezione; non c’è che una sola salvezza, una sola speranza e una carità senza divisioni» (LG, 32).

È una chiamata che riguarda sia coloro che hanno ricevuto il sacramento dell’Ordine, sia le persone consacrate, sia ciascun fedele laico, uomo o donna, è una chiamata a tutti. Tu, il tesoro che hai ricevuto con la tua vocazione cristiana, sei costretto a darlo: è la dinamicità della vocazione, è la dinamicità della vita. È una chiamata che abilita a svolgere in modo attivo e creativo il proprio compito apostolico, in seno a una Chiesa in cui «c’è diversità di ministero ma unità di missione. Gli apostoli e i loro successori hanno avuto da Cristo l’ufficio di insegnare, reggere e santificare in suo nome e con la sua autorità. Ma anche i laici: tutti voi; la maggioranza di voi siete laici. Anche i laici, essendo partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, all’interno della missione di tutto il popolo di Dio hanno il proprio compito nella Chiesa e nel mondo» (AA, 2).

In questo quadro, come il Concilio intende la collaborazione del laicato con la gerarchia? Come lo intende? Si tratta di un mero adattamento strategico alle nuove situazioni che vengono? Niente affatto, niente: c’è qualcosa di più, che supera le contingenze del momento e che mantiene un suo proprio valore anche per noi. La Chiesa è così, è apostolica.

Nel quadro dell’unità della missione, la diversità di carismi e di ministeri non deve dar luogo, all’interno del corpo ecclesiale, a categorie privilegiate: qui non c’è una promozione, e quando tu concepisci la vita cristiana come una promozione, che quello che è di sopra comanda gli altri perché è riuscito ad arrampicarsi, questo non è cristianesimo. Questo è paganesimo puro. La vocazione cristiana non è una promozione per andare in su, no! È un’altra cosa. E c’è una cosa grande perché, sebbene «alcuni per volontà di Cristo stesso siano costituiti in un posto forse più importante, dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo» (LG, 32). Chi ha più dignità, nella Chiesa: il vescovo, il sacerdote? No … tutti siamo cristiani al servizio degli altri. Chi è più importante, nella Chiesa: la suora o la persona comune, battezzata, il bambino, il vescovo …? Tutti sono uguali, siamo uguali e quando una delle parti si crede più importante degli altri e un po’ alza il naso, sbaglia. Quella non è la vocazione di Gesù. La vocazione che Gesù dà, a tutti – ma anche a coloro che sembrano essere in posti più alti – è il servizio, servire gli altri, umiliarti. Se tu trovi una persona che nella Chiesa ha una vocazione più alta e tu la vedi vanitosa, tu dirai: “Poveretto”; prega per lui perché non ha capito cosa è la vocazione di Dio. La vocazione di Dio è adorazione al Padre, amore alla comunità e servizio. Questo è essere apostoli, questa è la testimonianza degli apostoli.

La questione dell’uguaglianza in dignità ci chiede di ripensare tanti aspetti delle nostre relazioni, che sono decisive per l’evangelizzazione. Ad esempio, siamo consapevoli del fatto che con le nostre parole possiamo ledere la dignità delle persone, rovinando così le relazioni dentro la Chiesa? Mentre cerchiamo di dialogare con il mondo, sappiamo anche dialogare tra noi credenti? O nella parrocchia uno va contro l’altro, uno sparla dell’altro per arrampicarsi di più? Sappiamo ascoltare per comprendere le ragioni dell’altro, oppure ci imponiamo, magari anche con parole felpate? Ascoltare, umiliarsi, essere al servizio degli altri: questo è servire, questo è essere cristiano, questo è essere apostolo.

Cari fratelli e sorelle, non temiamo di porci queste domande. Fuggiamo dalla vanità, dalla vanità dei posti. Queste parole ci possono aiutare a verificare il modo in cui viviamo la nostra vocazione battesimale, come viviamo il nostro modo di essere apostoli in una Chiesa apostolica, che è al servizio degli altri.

Foto: Copyright © Vatican Media

Desiderio Desideravi: riscoprire la liturgia anche attraverso la musica

“Continuiamo a stupirci per la bellezza della liturgia”: a lanciare l’invito è papa Francesco, nella Lettera apostolica sulla liturgia “Desiderio desideravi”, pubblicata lo scorso 29 giugno per richiamare il significato profondo della Celebrazione Eucaristica, così come è emersa dal Concilio Vaticano II, ed invitare alla formazione liturgica, a partire dai seminari. “A noi non serve un vago ricordo dell’ultima Cena: noi abbiamo bisogno di essere presenti a quella Cena”, esordisce Francesco: “Vorrei che la bellezza del celebrare cristiano e delle sue necessarie conseguenze nella vita della Chiesa non venisse deturpata da una superficiale e riduttiva comprensione del suo valore o, ancor peggio, da una sua strumentalizzazione a servizio di una qualche visione ideologica, qualunque essa sia”. No alla “mondanità spirituale”, ribadisce il Papa, secondo il quale la liturgia “non è la ricerca di un estetismo rituale che si compiace solo nella cura della formalità esteriore di un rito o si appaga di una scrupolosa osservanza rubricale”, e neanche l’atteggiamento opposto, “che confonde la semplicità con una sciatta banalità, l’essenzialità con una ignorante superficialità, la concretezza dell’agire rituale con un esasperato funzionalismo pratico”.

“Ogni aspetto del celebrare va curato (spazio, tempo, gesti, parole, oggetti, vesti, canto, musica, …) e ogni rubrica deve essere osservata”, l’appello di Francesco, che si sofferma su un elemento essenziale della celebrazione liturgica: “lo stupore per il mistero pasquale”.

In quest’ottica, ben si inserisce il concorso musicale attivato da Serra Italia durante quest’ultimo anno sociale per tutti i seminaristi d’Italia, il cui fine è appunto quello di promuovere e valorizzare le potenzialità dei futuri sacerdoti, affinché ogni aspetto della celebrazione sia curato. D’altronde, è proprio attraverso la musica – sostiene mons. Marco Frisina, nostro giurato – che “si può comunicare il Vangelo nella sua verità di Buona Notizia, di gioiosa notizia che libera il cuore dell’uomo dalle meschinità del peccato e lo innalza fino a Dio”.

59a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: Messaggio del Papa

L’8 maggio 2022, IV Domenica di Pasqua, si celebra la 59a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni sul tema “Chiamati a edificare la famiglia umana”.

Pubblichiamo di seguito il Messaggio di Papa Francesco  Continua a leggere

Rinnovamento della vita consacrata. L’omelia del papa in occasione della XXVI Giornata Mondiale della Vita Consacrata

Condividiamo le parole di papa Francesco durante la S. Messa per la XXVI Giornata Mondiale della Vita Consacrata (2 febbraio 2022).

Due anziani, Simeone e Anna, attendono nel tempio il compimento della promessa che Dio ha fatto al suo popolo: la venuta del Messia. Ma la loro attesa non è passiva, è piena di movimento. Seguiamo dunque i movimenti di Simeone: egli dapprima è mosso dallo Spirito, poi vede nel Bambino la salvezza e finalmente lo accoglie tra le braccia (cfr Lc 2,26-28). Fermiamoci semplicemente su queste tre azioni e lasciamoci attraversare da alcune domande importanti per noi, in particolare per la vita consacrata.

La prima è: da che cosa siamo mossi? Simeone si reca al tempio «mosso dallo Spirito» (v. 27). Lo Spirito Santo è l’attore principale della scena: è Lui che fa ardere nel cuore di Simeone il desiderio di Dio, è Lui che ravviva nel suo animo l’attesa, è Lui che spinge i suoi passi verso il tempio e rende i suoi occhi capaci di riconoscere il Messia, anche se si presenta come un bambino piccolo e povero. Questo fa lo Spirito Santo: rende capaci di scorgere la presenza di Dio e la sua opera non nelle grandi cose, nell’esteriorità appariscente, nelle esibizioni di forza, ma nella piccolezza e nella fragilità. Pensiamo alla croce: anche lì è una piccolezza, una fragilità, anche una drammaticità. Ma lì c’è la forza di Dio. L’espressione “mosso dallo Spirito” ricorda quelle che nella spiritualità si chiamano “mozioni spirituali”: sono quei moti dell’animo che avvertiamo dentro di noi e che siamo chiamati ad ascoltare, per discernere se provengono dallo Spirito Santo o da altro. Stare attenti alle mozioni interiori dello Spirito.

Allora ci chiediamo: da chi ci lasciamo principalmente muovere: dallo Spirito Santo o dallo spirito del mondo? È una domanda su cui tutti dobbiamo misurarci, soprattutto noi consacrati. Mentre lo Spirito porta a riconoscere Dio nella piccolezza e nella fragilità di un bambino, noi a volte rischiamo di pensare alla nostra consacrazione in termini di risultati, di traguardi, di successo: ci muoviamo alla ricerca di spazi, di visibilità, di numeri: è una tentazione. Lo Spirito invece non chiede questo. Desidera che coltiviamo la fedeltà quotidiana, docili alle piccole cose che ci sono state affidate. Com’è bella la fedeltà di Simeone e Anna! Ogni giorno si recano al tempio, ogni giorno attendono e pregano, anche se il tempo passa e sembra non accadere nulla. Aspettano tutta la vita, senza scoraggiarsi e senza lamentarsi, restando fedeli ogni giorno e alimentando la fiamma della speranza che lo Spirito ha acceso nel loro cuore.

Possiamo chiederci, noi, fratelli e sorelle: che cosa muove i nostri giorni? Quale amore ci spinge ad andare avanti? Lo Spirito Santo o la passione del momento, ossia qualsiasi cosa? Come ci muoviamo nella Chiesa e nella società? A volte, anche dietro l’apparenza di opere buone, possono nascondersi il tarlo del narcisismo o la smania del protagonismo. In altri casi, pur portando avanti tante cose, le nostre comunità religiose sembrano essere mosse più dalla ripetizione meccanica – fare le cose per abitudine, tanto per farle – che dall’entusiasmo di aderire allo Spirito Santo. Farà bene, a tutti noi, verificare oggi le nostre motivazioni interiori, discerniamo le mozioni spirituali, perché il rinnovamento della vita consacrata passa anzitutto da qui.

Una seconda domanda: che cosa vedono i nostri occhi? Simeone, mosso dallo Spirito, vede e riconosce Cristo. E prega dicendo: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza» (v. 30). Ecco il grande miracolo della fede: apre gli occhi, trasforma lo sguardo, cambia la visuale. Come sappiamo da tanti incontri di Gesù nei Vangeli, la fede nasce dallo sguardo compassionevole con cui Dio ci guarda, sciogliendo le durezze del nostro cuore, risanando le sue ferite, dandoci occhi nuovi per vedere noi stessi e il mondo. Occhi nuovi su noi stessi, sugli altri, su tutte le situazioni che viviamo, anche le più dolorose. Non si tratta di uno sguardo ingenuo, no, è sapienziale; lo sguardo ingenuo fugge la realtà o finge di non vedere i problemi; si tratta invece di occhi che sanno “vedere dentro” e “vedere oltre”; che non si fermano alle apparenze, ma sanno entrare anche nelle crepe della fragilità e dei fallimenti per scorgervi la presenza di Dio.

Gli occhi anziani di Simeone, pur affaticati dagli anni, vedono il Signore, vedono la salvezza. E noi? Ognuno può domandarsi: che cosa vedono i nostri occhi? Quale visione abbiamo della vita consacrata? Il mondo spesso la vede come uno “spreco”: “Ma guarda, quel ragazzo così bravo, farsi frate”, o “una ragazza così brava, farsi suora… È uno spreco. Se almeno fosse brutto o brutta… No, sono bravi, è uno spreco”. Così pensiamo noi. Il mondo la vede forse come una realtà del passato, qualcosa di inutile. Ma noi, comunità cristiana, religiose e religiosi, che cosa vediamo? Siamo rivolti con gli occhi all’indietro, nostalgici di ciò che non c’è più o siamo capaci di uno sguardo di fede lungimirante, proiettato dentro e oltre? Avere la saggezza del guardare – questa la dà lo Spirito –: guardare bene, misurare bene le distanze, capire le realtà. A me fa tanto bene vedere consacrati e consacrate anziani, che con occhi luminosi continuano a sorridere, dando speranza ai giovani. Pensiamo a quando abbiamo incontrato sguardi simili e benediciamo Dio per questo. Sono sguardi di speranza, aperti al futuro. E forse ci farà bene, in questi giorni, fare un incontro, fare una visita ai nostri fratelli religiosi e sorelle religiose anziani, per guardarli, per parlare, per domandare, per sentire cosa pensano. Credo che sarà una buona medicina.

Fratelli e sorelle, il Signore non manca di darci segnali per invitarci a coltivare una visione rinnovata della vita consacrata. Ci vuole, ma sotto la luce, sotto le mozioni dello Spirito Santo. Non possiamo fare finta di non vedere questi segnali e continuare come se niente fosse, ripetendo le cose di sempre, trascinandoci per inerzia nelle forme del passato, paralizzati dalla paura di cambiare. L’ho detto tante volte: oggi, la tentazione di andare indietro, per sicurezza, per paura, per conservare la fede, per conservare il carisma fondatore… È una tentazione. La tentazione di andare indietro e conservare le “tradizioni” con rigidità. Mettiamoci in testa: la rigidità è una perversione, e sotto ogni rigidità ci sono dei gravi problemi. Né Simeone né Anna erano rigidi, no, erano liberi e avevano la gioia di fare festa: lui, lodando il Signore e profetizzando con coraggio alla mamma; e lei, come buona vecchietta, andando da una parte all’altra dicendo: “Guardate questi, guardate questo!”. Hanno dato l’annuncio con gioia, gli occhi pieni di speranza. Niente inerzie del passato, niente rigidità. Apriamo gli occhi: attraverso le crisi – sì, è vero, ci sono le crisi –, i numeri che mancano – “Padre, non ci sono vocazioni, adesso andremo in quell’isola dell’Indonesia per vedere se ne troviamo qualcuna” –, le forze che vengono meno, lo Spirito invita a rinnovare la nostra vita e le nostre comunità. E come facciamo questo? Lui ci indicherà il cammino. Noi apriamo il cuore, con coraggio, senza paura. Apriamo il cuore. Guardiamo a Simeone e Anna: anche se sono avanti negli anni, non passano i giorni a rimpiangere un passato che non torna più, ma aprono le braccia al futuro che viene loro incontro. Fratelli e sorelle, non sprechiamo l’oggi guardando a ieri, o sognando di un domani che mai verrà, ma mettiamoci davanti al Signore, in adorazione, e domandiamo occhi che sappiano vedere il bene e scorgere le vie di Dio. Il Signore ce li darà, se noi lo chiediamo. Con gioia, con fortezza, senza paura.

Infine, una terza domanda: che cosa stringiamo tra le braccia? Simeone accoglie Gesù tra le braccia (cfr v. 28). È una scena tenera e densa di significato, unica nei Vangeli. Dio ha messo suo Figlio tra le nostre braccia perché accogliere Gesù è l’essenziale, il centro della fede. A volte rischiamo di perderci e disperderci in mille cose, di fissarci su aspetti secondari o di immergerci nelle cose da fare, ma il centro di tutto è Cristo, da accogliere come il Signore della nostra vita.

Quando Simeone prende fra le braccia Gesù, le sue labbra pronunciano parole di benedizione, di lode, di stupore. E noi, dopo tanti anni di vita consacrata, abbiamo perso la capacità di stupirci? O abbiamo ancora questa capacità? Facciamo un esame su questo, e se qualcuno non la trova, chieda la grazia dello stupore, lo stupore davanti alle meraviglie che Dio sta facendo in noi, nascoste come quella del tempio, quando Simeone e Anna incontrarono Gesù. Se ai consacrati mancano parole che benedicono Dio e gli altri, se manca la gioia, se viene meno lo slancio, se la vita fraterna è solo fatica, se manca lo stupore, non è perché siamo vittime di qualcuno o di qualcosa, il vero motivo è che le nostre braccia non stringono più Gesù. E quando le braccia di un consacrato, di una consacrata non stringono Gesù, stringono il vuoto, che cercano di riempire con altre cose, ma c’è il vuoto. Stringere Gesù con le nostre braccia: questo è il segno, questo è il cammino, questa è la “ricetta” del rinnovamento. Allora, quando non abbracciamo Gesù, il cuore si chiude nell’amarezza. È triste vedere consacrati, consacrate amari: si chiudono nella lamentela per le cose che puntualmente non vanno. Sempre si lamentano di qualcosa: del superiore, della superiora, dei fratelli, della comunità, della cucina… Se non hanno lamentele non vivono. Ma noi dobbiamo stringere Gesù in adorazione e domandare occhi che sappiano vedere il bene e scorgere le vie di Dio. Se accogliamo Cristo a braccia aperte, accoglieremo anche gli altri con fiducia e umiltà. Allora i conflitti non inaspriscono, le distanze non dividono e si spegne la tentazione di prevaricare e di ferire la dignità di qualche sorella o fratello. Apriamo le braccia, a Cristo e ai fratelli! Lì c’è Gesù.

Carissimi, carissime, rinnoviamo oggi con entusiasmo la nostra consacrazione! Chiediamoci quali motivazioni muovono il nostro cuore e il nostro agire, qual è la visione rinnovata che siamo chiamati a coltivare e, soprattutto, prendiamo fra le braccia Gesù. Anche se sperimentiamo fatiche e stanchezze – questo succede: anche delusioni, succede –, facciamo come Simeone e Anna, che attendono con pazienza la fedeltà del Signore e non si lasciano rubare la gioia dell’incontro. Andiamo verso la gioia dell’incontro: questo è molto bello! Rimettiamo Lui al centro e andiamo avanti con gioia. Così sia.

75ª Assemblea della CEI. Il papa parla delle beatitudini del vescovo

Riportiamo un estratto dell’articolo di don Daniele Pinton, pubblicato dal quotidiano online laquilablog.it (per leggerlo tutto clicca qui), sul discorso del papa l’apertura della 75a Assemblea generale straordinaria della CEI. Papa Francesco ha focalizzato la sua attenzione sui temi della sinodalità e sulle “Beatitudini del Vescovo”.

Nell’anno del tema nazionale del Serra Italia dedicato proprio alle beatitudini, sembra più che mai opportuno condividere insieme con tutti voi questi spunti di riflessione.

[…] “Papa Francesco si è messo in dialogo e in ascolto dei vescovi, non solo parlando del cammino sinodale delle Chiese in Italia, come era previsto nei temi da trattare, ma aprendo la sua riflessione in forma privata, con un dono significativo ed efficace, per far comprendere la meta del cammino da compiere, che parte dall’interno: un cartoncino raffigurante il Buon Pastore e il testo delle ‘Beatitudini del vescovo’, tratto da una recente omelia dell’Arcivescovo di Napoli, Mons. Domenico Battaglia, tenuta durante l’ordinazione episcopale di tre nuovi ausiliari della sua chiesa particolare, il 31 ottobre 2021.  […]

Attraverso il cartoncino consegnato ai Vescovi italiani, il Papa ha ricordato che per un vescovo, la beatitudine passa dalla povertà, come testimonianza del Regno di Dio, dal condividere i dolori della gente, trovando nell’abbraccio con chi soffre la consolazione di Dio,  dal considerare il ministero episcopale come un servizio e non un potere, facendo della mitezza la sua forza, dal non chiudersi nei palazzi del governo, cercando di lottare a fianco dell’uomo per il sogno di giustizia di Dio, dall’avere a cuore la miseria del mondo, non temendo di sporcarsi le mani con il fango dell’animo umano per trovarvi l’oro di Dio, non scandalizzandosi del peccato e della fragilità altrui perché consapevole della propria miseria, allontanando la doppiezza del cuore, sognando il bene anche in mezzo al male, operando la pace, che accompagna i cammini di riconciliazione, che semina nel cuore del presbiterio il germe della comunione, che accompagna una società divisa sul sentiero della riconciliazione, che prende per mano ogni uomo e ogni donna di buona volontà per costruire fraternità e che per il Vangelo non teme di andare controcorrente.

Ecco il testo delle otto beatitudini del vescovo:

Beato il Vescovo che fa della povertà e della condivisione il suo stile di vita, perché con la sua testimonianza sta costruendo il regno dei cieli.

Beato il Vescovo che non teme di rigare il suo volto con le lacrime, affinché in esse possano specchiarsi i dolori della gente, le fatiche dei presbiteri, trovando nell’abbraccio con chi soffre la consolazione di Dio.

Beato il Vescovo che considera il suo ministero un servizio e non un potere, facendo della mitezza la sua forza, dando a tutti diritto di cittadinanza nel proprio cuore, per abitare la terra promessa ai miti.

Beato il Vescovo che non si chiude nei palazzi del governo, che non diventa un burocrate attento più alle statistiche che ai volti, alle procedure che alle storie, cercando di lottare a fianco dell’uomo per il sogno di giustizia di Dio perché il Signore, incontrato nel silenzio della preghiera quotidiana, sarà il suo nutrimento.

Beato il Vescovo che ha cuore per la miseria del mondo, che non teme di sporcarsi le mani con il fango dell’animo umano per trovarvi l’oro di Dio, che non si scandalizza del peccato e della fragilità altrui perché consapevole della propria miseria, perché lo sguardo del Crocifisso Risorto sarà per lui sigillo di infinito perdono.

Beato il Vescovo che allontana la doppiezza del cuore, che evita ogni dinamica ambigua, che sogna il bene anche in mezzo al male, perché sarà capace di gioire del volto di Dio, scovandone il riflesso in ogni pozzanghera della città degli uomini.

Beato il Vescovo che opera la pace, che accompagna i cammini di riconciliazione, che semina nel cuore del presbiterio il germe della comunione, che accompagna una società divisa sul sentiero della riconciliazione, che prende per mano ogni uomo e ogni donna di buona volontà per costruire fraternità: Dio lo riconoscerà come suo figlio.

Beato il Vescovo che per il Vangelo non teme di andare controcorrente, rendendo la sua faccia “dura” come quella del Cristo diretto a Gerusalemme, senza lasciarsi frenare dalle incomprensioni e dagli ostacoli perché sa che il Regno di Dio avanza nella contraddizione del mondo.

Il Papa ricorda il Curato d’Ars e invita a pregare per i sacerdoti

di Amedeo Lomonaco

Fonte: www.vaticannews.va

“Oggi, memoria di San Giovanni Maria Vianney, v’invito a pregare in modo particolare per i vostri parroci e per tutti i sacerdoti. Possano, ispirati dall’esempio del Santo Curato D’Ars, offrire le loro vite alla missione di predicare il Vangelo della salvezza”. È questa l’esortazione rivolta da Papa Francesco all’udienza generale, dopo la catechesi, nei saluti indirizzati ai fedeli di lingua portoghese  e francese ai quali non ha mancato inoltre di indicare san Giovanni, come “un testimone di amore, misericordia e solidarietà”.

Noto come “il Curato d’Ars”, Giovanni Maria Vianney nasce l’8 maggio 1786 a Dardilly, vicino Lione. Viene ordinato sacerdote all’età di 29 anni e nel 1818 viene mandato ad Ars, piccolo villaggio nel sudest della Francia, abitato da 230 persone. Dedica tutte le sue energie alla cura dei fedeli. È sempre disponibile all’ascolto e al perdono, trascorre fino a 16 ore al giorno nel confessionale. Ogni giorno, una folla di penitenti provenienti da varie località della Francia si confessa da lui. Ars viene rinominata “il grande ospedale delle anime”. Veglia e digiuna per contribuire all’espiazione dei peccati dei fedeli. “Vi dirò – dice ad un confratello – qual è la mia ricetta: do ai peccatori una penitenza piccola e il resto lo faccio io al loro posto”.  Muore il 4 agosto 1859, all’età di 73 anni. Le sue spoglie riposano ad Ars, nel Santuario a lui dedicato. Beatificato nel 1905 da Pio X, viene canonizzato nel 1925 da Pio XI che nel 1929.

Durante il suo Pontificato, il Papa ha più volte ricordato la figura del Santo Curato d’Ars. Nella lettera scritta il 4 agosto del 2019, in occasione del 160.mo anniversario della morte di  San Giovanni Maria Vianney, il Papa esprime incoraggiamento e vicinanza ai “fratelli presbiteri, che senza fare rumore” lasciano tutto per impegnarsi nella vita quotidiana delle comunità; a quelli che, lavorano in “trincea”; a quelli che ogni giorno ci mettono la faccia senza darsi troppa importanza, “affinché il popolo di Dio sia curato e accompagnato”. Un tratto distintivo della vita di San Giovanni Maria Vianney è quello della preghiera. All’Angelus del 4 agosto del 2019 Francesco ricorda inoltre che il santo Curato d’Ars è un “modello di bontà e di carità per tutti i sacerdoti”. “La testimonianza di questo parroco umile e totalmente dedito al suo popolo – aggiunge il Papa – aiuti a riscoprire la bellezza e l’importanza del sacerdozio ministeriale nella società contemporanea”.

I giovani nel cuore di Papa Francesco

“I ragazzi hanno la freschezza e la forza per rilanciare i compiti fondamentali assegnati da Dio e diventare così uomini e donne della conoscenza, dell’amore e della carità”. Sono queste alcune delle parole di Papa Francesco rivolte ai giovani, riportate nel recente libro intervista “Dio e il mondo che verrà”, editore Piemme, curato dal giornalista vaticanista Domenico Agasso del quotidiano La Stampa, già noto a noi serrani per avere ricoperto l’incarico di Direttore responsabile della Rivista “Il Serrano” nel 1918. Un insieme di riflessioni per invitarci a trovare il significato nascosto di questo periodo di grande sofferenza per il coronavirus. 

E’ ancora impressa nella memoria di tutti quell’immagine sconvolgente di venerdì 27 marzo 2020, riportata dall’autore sulla copertina del libro, di Papa Francesco vestito di bianco, che, sotto la pioggia, attraversa da solo Piazza San Pietro, in un silenzio assordante per l’assenza di fedeli, per raggiungere il sagrato della Basilica e rispondere al dolore della pandemia con l’universalità della preghiera. Prima la Liturgia della Parola, poi la preghiera dinanzi al Crocifisso di San Marcello al Corso che nel 1522 salvò Roma dalla peste e all’icona bizantina di Maria Salus Populi Romani della Basilica di Santa Maria Maggiore e, infine, l’Adorazione eucaristica e la benedizione Urbi et Orbe.

Nel rimarcare che, anche dopo la cessazione della pandemia, il mondo non sarà più come prima, Papa Francesco rileva che ci aspetta un “tempo di scelte sagge e lungimiranti per il bene dell’umanità”.

Vari i temi toccati nel libro intervista che sta riscuotendo largo successo nelle vendite e, tra questi, una parola d’incoraggiamento del Papa rivolto ai genitori per dedicare più tempo e seminare educazione ai propri figli. Un incoraggiamento esteso anche ai giovani, da sempre nel cuore di Papa Francesco, sin dall’inizio del suo Pontificato, che li ha sempre considerati artigiani del futuro, assetati di verità e appassionati della vita. A questi giovani, l’invito di Papa Francesco a dare maggiore valore al tempo e alla vita, a restare umili senza farsi vincere dalla congiuntura sfavorevole che impone loro di pagare il prezzo più alto della crisi.

Queste le parole pronunciate da Papa Francesco dirette ai giovani: “Aprendosi all’incontro e alla meraviglia, potranno gioire per le bellezze e i doni della vita e della natura, le emozioni, l’amore in tutte le sue declinazioni. Andando sempre avanti per apprendere qualcosa da ogni esperienza, divulgando la conoscenza e amplificando la speranza insita nella giovinezza, prenderanno in mano le redini della vita e, allo stesso tempo, metteranno in circolo la vitalità che farà progredire l’umanità, rendendola libera. Perciò, anche se la notte sembra non abbia fine, non bisogna perdersi d’animo. E, come diceva San Filippo Neri, non dimenticate di essere allegri, il più possibile”.

 

Cosimo Lasorsa

Omelia di Papa Francesco alla S.Messa con Ordinazioni Presbiteriali, 25 aprile 2021.

Una omelia da leggere tutta con attenzione, anche noi serrani impegnati a sostenere i nostri cari sacerdoti.

Papa Francesco ricorda che il sacerdozio non è una “carriera”, è un servizio, da dare con uno stile di vicinanza, di compassione, e di tenerezza. Vicinanza con Dio nella preghiera, nei Sacramenti e nella Messa. Vicinanza al Vescovo, perché nel Vescovo voi avrete l’unità. Vicinanza tra voi…. “mai sparlare di un fratello sacerdote!”. Vicinanza al popolo di Dio… “Non dimenticatevi da dove siete venuti: dalla vostra famiglia, dal vostro popolo… Siate sacerdoti di popolo, non chierici di Stato!”.

Buona lettura

Fratelli carissimi, questi nostri figli sono stati chiamati all’ordine del presbiterato. Riflettiamo attentamente a quale ministero saranno elevati nella Chiesa.

Come voi sapete, fratelli, il Signore Gesù è il solo sommo sacerdote del Nuovo Testamento; ma in lui anche tutto il popolo santo di Dio è stato costituito popolo sacerdotale. Nondimeno, tra tutti i suoi discepoli, il Signore Gesù volle sceglierne alcuni in particolare, perché esercitando pubblicamente nella Chiesa in suo nome l’ufficio sacerdotale a favore di tutti gli uomini, continuassero la sua personale missione di maestro, sacerdote e pastore. ... Continua a leggere

Il messaggio di papa Francesco per la GMV 2021

Pubblichiamo il messaggio del Santo Padre Francesco per la 58a Giornata Mondiale di preghiera per le Vocazioni.

 

Domenica 12 Maggio: la GMV 2019. Il Messaggio di Papa Francesco

Messaggio per la 56ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni 2019

Il coraggio di rischiare per la promessa di Dio

Cari fratelli e sorelle,

dopo aver vissuto, nell’ottobre scorso, l’esperienza vivace e feconda del Sinodo dedicato ai giovani, abbiamo da poco celebrato a Panamá la 34ª Giornata Mondiale della Gioventù. Due grandi appuntamenti, che hanno permesso alla Chiesa di porgere l’orecchio alla voce dello Spirito e anche alla vita dei giovani, ai loro interrogativi, alle stanchezze che li appesantiscono e alle speranze che li abitano.

Proprio riprendendo quanto ho avuto modo di condividere con i giovani a Panamá, in questa Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni vorrei riflettere su come la chiamata del Signore ci rende portatori di una promessa e, nello stesso tempo, ci chiede il coraggio di rischiare con Lui e per Lui. […]