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Club di Palermo. 40 anni di cammino e tanta strada ancora da fare

 

Momenti di grande gioia per il Club di Palermo che, con emozioni, ricordi e testimonianze, festeggia la sua incorporazione avvenuta con la Charter del 28 giugno 1981. La ricorrenza è troppo importante e l’afa pomeridiana di questo inizio d’estate non ferma i tanti soci che guidati dal Presidente del Club , Rosario Scalici, hanno voluto partecipare a questa ricorrenza così importante.

L’occasione speciale ci ha regalato anche l’onore di presenze speciali: la Presidente nazionale, Paola Poli, il trustee internazionale per l’Italia, Manuel Costa, il Governatore del Distretto 77, Michele Montalto, e tanti amici serrani provenienti da altri Club italiani che hanno voluto essere presenti a festeggiare insieme a noi.

I vari relatori (in primis il Presidente Rosario Scalici, ma anche Cesare Gambardella e don Piero Magro) hanno ricordato come la realtà del Serra Club a Palermo è stata fortemente voluta dal Card. Salvatore Pappalardo che, come noto, ha sempre creduto, sostenendola in diversi ambiti, nella partecipazione consapevole dei laici nella vita diocesana.

Su richiesta del Card. Pappalardo, il Club di Palermo vede la luce grazie all’entusiastica risposta da parte del primo presidente, Amedeo Ziino, ed alla collaborazione di altre figure straordinarie di laici impegnati quali Cesare Barbera, i coniugi Cappellino, Renato Vadalà, Ugo Modica.

Composto attualmente da 58 soci (gli ultimi due ammessi proprio in occasione di questo anniversario), il Serra Club di Palermo è il più numeroso d’Italia. Ma non è nel dato strettamente numerico che sta la sua peculiarità, bensì nell’aver consolidato ed ampliato la specificità vocazionale dei Serra Club, dal momento che tanti soci vivono una straordinaria comunione di preghiera, vita e relazionalità con il Seminario, che non è solo luogo di riunione del Club di Palermo, ma   vero e proprio punto di incontro e condivisione dove si creano profonde relazioni tra i soci e i seminaristi.

Questa peculiarità è stata ben evidenziata sia dal saluto di accoglienza rivolto ai presenti dal Rettore del Seminario, don Silvio Sgrò, sia dalla testimonianza del socio Cesare Gambardella (che nel Serra ha ricoperto tutte le cariche istituzionali possibili, compresa quella di Presidente Internazionale).

Le relazioni, l’affettività e la comunione spirituale creata in questo quarantennio non sono dati statisticamente misurabili, ma diventano esperienza di vita reale e si concretizzano in un’atmosfera di familiarità percepibile anche dagli ospiti esterni.

Nelle diverse testimonianze di seminaristi poi diventati presbiteri è bello vedere che il Serra Club emerge non come istituzione a sostegno del Seminario, ma come imprescindibile presenza di quegli anni di formazione e preparazione al sacerdozio. Il Serra Club, ha ricordato don Silvio Sgrò, è sempre stato un compagno di viaggio per la Comunità del Seminario; un compagno di viaggio con il quale la Comunità del Seminario sente un profondo sentimento di comunione.

A creare questo clima unico contribuiscono le capacità relazionali dei singoli individui, ma il collante è costituito dalla partecipazione comune agli incontri mensili di formazione condivisa (i temi di volta in volta trattati rispondono alle esigenze ed agli interessi che i seminaristi stessi rappresentano in seno al Consiglio direttivo del Club n.d.r.) e dagli incontri in occasione dell’adorazione eucaristica settimanale nella Cappella del Seminario a cui diversi soci partecipano con costanza.

In un clima gioioso di festeggiamenti è logico fare, oltre ai bilanci del passato, anche progetti per il futuro. Per questo il presidente in carica Rosario Scalici annunciando il tema pastorale del prossimo anno sociale riguardante il perdono e la pace  a partire dal cuore dell’uomo, si augura che possa essere incrementato il numero dei soci, non per puro proselitismo ma per camminare e lavorare nella vigna del Signore  insieme e senza stancarsi.

Fanny Conti

 

 

Le Beatitudini: tradizione ebraica e novità cristiana

Le Beatitudini: tradizione ebraica e novità cristiana

di don CArmelo Raspa

Il 4 marzo 2022, nella chiesa del SS. Salvatore di Palermo, d. Carmelo Raspa ha tenuto l’incontro di formazione del Serra Club di Palermo, sul tema dell’anno. La riflessione, ricca di spunti, ha suscitato un dialogo vivace. Riportiamo di seguito il testo fornito dal relatore (per citazioni e bibliografia, si rimanda all’articolo del relatore Le beatitudini a causa della giustizia (Mt 5,6.10) pubblicato su Horeb n. 90/3 (2021) 27-33).

L’identità di chi ascolta

Il termine “giustizia” sembra strutturare il discorso della montagna (Mt 5-7). Esso ricorre nei seguenti passi:

5,6: “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati”;

5,10: “Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”;

5,20: “Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”;

6,1: “Guardatevi dal praticare le vostre buone opere (in greco: la vostra giustizia) davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli”;

6,33: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.

Nella serie delle Beatitudini, esso divide le proposizioni in due parti costituite da 4 membri ciascuna. Inoltre, la beatitudine di 5,10, concludendosi con l’espressione “regno dei cieli”, forma un’inclusione letteraria con la prima di 5,3, che si chiude con il medesimo sintagma. La forma grammaticale “ a causa della giustizia” è parallela al “a causa mia” di 5,11: in tal modo, la beatitudine di 5,10 apre quella di 5,11-12, alla quale si lega strettamente facendovi confluire tutte le precedenti beatitudini, che, in tal modo, si ritrovano riassunte nell’ultima.

In 5,20, la giustizia è richiesta in misura qualitativamente maggiore rispetto a quella praticata da scribi e farisei: l’esortazione apre una serie di sei antitesi, raggruppate in due gruppi di tre, nelle quali Gesù conferma l’affermazione di 5,17, secondo la quale egli è venuto non ad abrogare, ma a compiere la Torah e i profeti. Il verbo “compiere” lo si ritrova in 3,15, nell’incontro tra Giovanni Battista e Gesù, unitamente al termine “giustizia”, per cui le due espressioni sono semanticamente affini. Il compimento della giustizia attraverso il “fare” la Parola è, infatti, illustrato nelle sei interpretazioni di alcuni passi veterotestamentari, inerenti aspetti della vita relazionale e sociale, che Gesù fornisce e che rappresentano un novum nel solco della catena ermeneutica della tradizione. L’interpretazione dei passi, che Gesù fornisce, prevede un’applicazione più rigida dei precetti rispetto a quella con la quale si confronta nel testo matteano. Gesù stesso ha insegnato, infatti, in 5,19: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli”. In realtà, molti degli insegnamenti di Gesù si ritrovano nei trattati del Talmud, a testimoniare di come quella gesuana fosse un’ermeneutica condivisa da alcuni maestri del suo tempo: le interpretazioni delle Scritture e i precetti che ne derivano dovevano rappresentare un patrimonio comune che Gesù conosce, avendolo studiato, e che rilancia nel dibattito. Il vangelo di Matteo ed il Talmud hanno conservato questo ricco patrimonio.

Il detto di 6,1 costituisce un appello a non compiere la giustizia ipocritamente di fronte a tutti. Il termine “giustizia” può essere qui accostato all’espressione rabbinica “opere di misericordia” che si ritrova nel trattato m.A?ot 1,2 e che indica tutta quella gamma di azioni che “impegnano un uomo sia nella persona che nel denaro” (R. Jonà). In tal senso il passo di 6,1 si lega alle “opere belle” di 5,16, compiute perché gli uomini lodino Dio, non chi le compie, al quale, al contrario, è richiesto di abitare il nascondimento di sé, per rivelare meglio, in tal modo, come tutto il bene in lui sia opera di Dio stesso. L’esplicitazione dei versetti successivi comprende, infatti, il modo di elargire l’elemosina, di pregare e di digiunare come pure quello di rapportarsi alle ricchezze e di affidarsi fiduciosamente a Dio che provvede ad ogni esigenza, senza per questo indulgere all’ozio. La richiesta di 6,33 è, infatti, un ordine pressante a perseguire il regno di Dio e la sua giustizia, dove il verbo all’imperativo indica un’azione incessante: il precetto, in questo caso, non va compiuto in un dato luogo e in un tempo ben fissato, come potrebbe essere quello concernente il Sabato, ma sempre e dovunque. Il termine “giustizia” in 6,33 riassume, pertanto, il modo di essere e di vivere tratteggiato fin qui all’interno del discorso della montagna da Gesù. Essa si applica all’identità dei discepoli e delle folle accorse sul monte ad ascoltare Gesù (5,1). Il monte non è solo allusivo tipologicamente del Sinai, luogo della rivelazione di YHWH a Israele mediante Mosè, lì dove l’alleanza è ratificata attraverso il dono della Torah (cfr. Es 19): esso simboleggia pure Sion, ai piedi del quale le nazioni apprendono da Israele come camminare nella Torah di Dio.

Fame e sete di giustizia

Se il discorso della montagna è da intendersi come la definizione dell’identità di una comunità che segue gli insegnamenti di Gesù – un’identità che si struttura attraverso la realtà espressa dal lessema “giustizia” – le Beatitudini in esso non vanno intese “come l’espressione di un ideale religioso astratto, ma in riferimento alla persona di Gesù, in cui la volontà di Dio si manifesta pienamente”. Le Beatitudini non rappresentano uno sforzo volontaristico, un manifesto programmatico di stampo utopistico, un’esortazione a fare di più e meglio, una benedizione meritoria o la promessa di una felicità quale ricompensa: essendo al presente esse si rivelano come “affermazioni di una realtà che già esiste, ma che ha bisogno di una parola che la riveli. Attraverso le beatitudini Gesù manifesta in che senso il regno di Dio, da lui annunciato come fattosi vicino, è presente”.

In Mt 5,6 gli affamati e assetati di Lc 6,21a sono non più coloro che mancano del pane quotidiano in contrapposizione ai troppo sazi (cfr. Lc 6,25a), ma coloro che desiderano la giustizia. I verbi “aver fame” e “aver sete” al presente denotano un bisogno continuo; il verbo “saziare” nell’apodosi non sembra riferirsi alla giustizia, ma al regno di Dio. Sulla scia di diverse allusioni veterotestamentarie (cfr Is 49,9-10; Sir 24,19-22) come pure degli scritti di Qumran e di Filone Alessandrino, sembra che in questo caso il termine “giustizia” debba intendersi, ad un tempo, come il dono escatologico di Dio che è posto continuamente in essere dalla condotta di quanti si conformano alla sua volontà, seguendo gli insegnamenti di Gesù. In tal senso, per comprenderne il significato, è bene ricordarsi che la giustizia insieme al diritto, che regolano l’ordine sociale in Israele, promanano dalla santità di Dio che abita il Tempio. Il popolo di Israele è chiamato ad essere santo come il suo Signore, vivendo costantemente relazioni di giustizia che investono gli uomini ed il creato.

Perseguitati per la giustizia

L’ottava beatitudine è presente solo in Mt 5,10 e manca nel parallelo lucano. Il verbo “perseguitare” appare, oltre che in Mt 5,10, nell’ultima beatitudine di 5,11, strettamente legata alla precedente, e ancora in 5,44; 10,23a; 23,34, in contesti chiaramente ostili a quanti seguono gli insegnamenti di Gesù, ai quali, come nella prima beatitudine, è assicurato il possesso attuale del regno dei cieli (si crea un’inclusione tra la prima e l’ottava beatitudine proprio attraverso il sintagma “regno dei cieli”). Il motivo della persecuzione è la giustizia: l’espressione “per la giustizia” è parallela a “per causa mia” di 5,11, ma non equivalente.

Sembra che Mt 5,10 sia simile a 1Pt 3,14a: “E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi!”, espressione che si illumina grazie al precedente v. 13 in cui i cristiani vengono rassicurati che nulla potrà far loro del male se rimangono zelanti nel bene. In 3,17 Pietro raccomanda ai cristiani: “È meglio, infatti, se così esige la volontà di Dio, soffrire facendo del bene che facendo il male”, riferendosi alle calunnie ingiuste dei persecutori. Il passo di 3,17 si lega così a 2,20b: “se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio”.

In Mt 5,11 è detto che i cristiani sono vittime di false accuse. Mt allarga così il detto di Lc 6,22. Il participio “mentendo” specifica il “diranno ogni sorta male contro di voi per causa mia”. Dall’uso del verbo “mentire” nel vangelo di Mt (15,19; 19,18; 26,59) si comprende come il tema della falsa testimonianza preoccupi l’evangelista. In 1Pt 4,15 si invitano i cristiani ad allontanarsi da quelle sofferenze che non sono provocate dal vivere il vangelo, ma, al contrario, dall’essere “omicida o ladro o malfattore o delatore”; ancora, in 1Pt 2,12.15 l’esortazione loro rivolta è ad assumere una buona condotta e a praticare il bene per dimostrare false le accuse dei calunniatori. La pratica del bene in Mt 5,16 si esprime nelle “opere belle”. In questo caso l’accusa è falsa solo se la condotta dei cristiani è irreprensibile a motivo del loro legame con Gesù.

Essere perseguitati per la giustizia è una beatitudine per i seguaci di Gesù “solo se le accuse avanzate contro di loro sono false e solo se essi soffrono a motivo di Cristo”.

La pratica della giustizia

Legandosi strettamente alla persona e all’insegnamento di Gesù, i suoi discepoli e quanti ne accolgono l’insegnamento, che egli dona interpretando la Torah, praticano la giustizia esprimendola nelle opere belle. Si tratta di una continua tensione verso questo bene escatologico inaugurato nel presente della storia dal dono di amore di Gesù e che si traduce in una santità che diviene giusta relazione con Dio, con gli uomini, con il creato. La beatitudine che segue a chi ha fame e sete della giustizia e a chi per essa è perseguitato non è conferita solo in virtù di una fede professata o di un nome di appartenenza. La giustizia va vissuta (cfr 1Pt 2,24): questo significa abbracciare radicalmente la vita evangelica, che si traduce in un ascolto intelligente, attento e perseverante della Parola, in una preghiera umile e grata, composta di sobrietà, in una fiducia illimitata nell’agire del Padre nella storia, in un dono d’amore che, sul modello di Gesù, ama persino i nemici, che non sono più tali. Facendo la giustizia, il discepolo rivela di appartenere totalmente a Gesù, di non disporre più di se stesso in autonomia, di aver ricevuto in dono quella libertà del cuore che non si attarda sulle piccinerie. Soprattutto, egli è consapevole di non riuscire a vivere totalmente la via tracciata dall’insegnamento di Gesù, ma “non rifiuta di trovarsela scolpita addosso dalle parole dell’unico Maestro. Anche se non riesce sempre a viverla fino in fondo, essa è qualcosa per cui lui vuole vivere, è ciò di cui lui ha fame e sete e di cui vuole essere profeta”. Perseguire la giustizia ed essere perseguitati per essa è la misura dell’accoglienza del Regno di Dio manifestato in Gesù. E quest’ultima non è legata necessariamente ad un’appartenenza, che può rivelarsi formale. Il discepolo ne è avvertito dallo stesso Gesù: “In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli” (Mt 21,31b-32). I pubblicani sono disprezzati a motivo della loro avidità, essendo esattori delle imposte e agendo come usurai; le prostitute già dal loro nome sono etichettate come strumenti, non come persone. Con essi siede Gesù a mensa dopo la chiamata di Matteo (cfr. Mt 9,9-13). I farisei, vedendo Gesù banchettare con loro, chiedono ai suoi discepoli, non a lui, il perché egli sieda con uomini e donne ritualmente impuri, avendo egli stesso affermato di non voler abrogare le prescrizioni della Torah. Gesù risponde loro in modo diretto, non attraverso i discepoli, ricordando il detto del profeta Osea secondo il quale Dio vuole la misericordia e non il sacrificio (cfr. Os 6,6). E aggiunge di non essere venuto per chiamare dei giusti, ma dei peccatori. Questo accade perché la giustizia che non è secondo l’insegnamento di Gesù si tramuta in presunzione, in prestazione volontaristica e meritoria: essa – insegna lo stesso Gesù – ha già ricevuto la sua ricompensa (cfr Mt 6,2b.5b.16b). La giustizia di pubblicani e peccatori è quella di non avere più nulla da difendere e nulla da dimostrare. Raggiunti dalla giustizia di Dio in Gesù che li rende perfetti come il Padre (dove la perfezione, qui, è sinonimo di giustizia: cfr Mt 5,48) essi hanno ormai e solamente tutto da donare. Nel paradosso scandaloso di essere pubblicani e prostitute e, allo stesso, discepoli del Regno, testimoniano di quella giustizia che è dono dall’alto e che raggiunge coloro che sono spogli di sé, ricchi del loro peccato, della loro umile consapevolezza del loro essere, pienamente disponibili all’azione dell’amore di Dio in loro attraverso Gesù. Costoro, nel silenzio, a volte tra giudizi ed emarginazione, camminano sulla via della giustizia, attuando le opere belle che si esprimono in quella diaconia all’uomo sofferente, la quale sarà il metro di giudizio nel Regno (cfr. Mt 25,44).

Un pomeriggio formativo e ricco di emozioni per il Serra Club di Palermo

Nel pomeriggio del 4 marzo 2022 il Club di Palermo si è riunito nella Chiesa del SS. Salvatore per la premiazione del Concorso Scolastico, a cui ha fatto seguito la relazione di don Carmelo Raspa, docente dell’Istituto Teologico “San Paolo” di Catania, su Le Beatitudini: tradizione ebraica e novità cristiana.

Rosario Scalici, Presidente del Club, ha introdotto e condotto la premiazione del Concorso cui hanno partecipato diverse scuole e con prodotti ben curati, molto apprezzati dalla Commissione, presieduta da Nicola Iemmola.

Alla premiazione erano presenti allievi, genitori, docenti e dirigenti scolastici, oltre ai soci del club. La bella cornice del SS. Salvatore si è animata di voci e colori.

Il Presidente ha ringraziato tutti, con una particolare sottolineatura rivolta alle famiglie.

 

Protagonisti sono stati i ragazzi che hanno emozionato e sorpreso i presenti per la loro sensibilità e bravura.

Il tema del concorso è stato apprezzato anche dai docenti intervenuti che hanno sottolineato la valenza formativa dell’attività promossa dal Serra. Il rimando al testo di Franco Battiato, La cura, è stato un elemento stimolante: tutti gli elaborati, in modo originale vi hanno fatto riferimento.

Gli elaborati premiati sono stati presentati e tutti – testi, prodotti artistici, video – hanno suscitato ammirazione, sorpresa, emozione: i ragazzi sono veramente quegli ‘esseri speciali’ che ci fanno ben sperare per il futuro.

Conclusa la premiazione, don Carmelo Raspa ha offerto la sua riflessione, che ha suscitato interesse e stimolo per una ulteriore riflessione sui temi proposti. Il relatore è partito dalla centralità del tema della giustizia, all’interno de testo delle Beatitudini in Matteo. Nel discorso della montagna (Mt 5-7), inaugurato dalle Beatitudini, Gesù si muove all’interno della tradizione giudaica e propone la sua lettura della Torah in un contesto in cui, da farisei prima e rabbini poi, vengono proposte diverse interpretazioni. Gesù si pone su una linea rigorosa, in cui – come si nota dalle antitesi presenti in Matteo 5 – anche una parola che provoca malessere è equiparabile all’omicidio. Il discorso della montagna si colloca dopo il raduno delle folle da tutti i territori, e ha come contesto l’annuncio del Regno. Lo studio-ascolto della Torah, il metterla in pratica, lo sguardo all’attesa del Messia e del Regno, tutto rimanda alla tradizione giudaica; nel discorso della montagna emerge, intanto, una realtà originale caratterizzante la comunità cristiana: l’amore per i nemici.

Alla relazione sono seguiti diversi interventi, segno dell’interesse suscitato e degli stimoli forniti.

Ci si è quindi spostati in Cattedrale, dove l’Arcivescovo ha presieduto la Celebrazione eucaristica. L’Arcivescovo nell’omelia è partito dal ricordare l’opera di san Junipero Serra e poi ha sottolineato i quaranta anni della presenza del Serra a Palermo, ringraziando il Serra per la sua vicinanza al Seminario.

È stato un pomeriggio ricco: a partire dalla bellezza dei ragazzi con il loro entusiasmo, passando dalla profonda riflessione di don Carmelo Raspa, per finire con l’abbraccio dell’Arcivescovo nei confronti della realtà del Serra.

Maria Lo Presti

Venerdì 4 marzo il Club di Palermo premierà i vincitori locali del Concorso scolastico.

Carissime Amiche e Carissimi Amici Serrani,

allego la comunicazione del Presidente relativa al prossimo incontro programmato per  venerdì 4 marzo alle ore 16:00, presso la Chiesa del SS Salvatore sita in Corso Vittorio Emanuele, nel corso del quale assisteremo alla Premiazione del Concorso Scolastico intitolato :
“Prendersi cura di se stessi e degli altri per un mondo migliore”, nonché alla relazione del Prof. Carmelo Raspa, della Facoltà Teologica
di Sicilia, sul tema: “Le Beatitudini: tradizione ebraica e novità cristiana”.

Al termine, ci recheremo in Cattedrale dove alle ore 19:00 S.E.R. Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo Metropolita di Palermo e
Cappellano del nostro Club presiederà la Celebrazione Eucaristica.

Vi segnalo anche l’iniziativa di preghiera “Tesoro nascosto”,  promossa dal nostro Rettore e dal Seminario di Palermo a sostegno delle Vocazioni (clicca qui).

 

Fraterni saluti

Rosalia Coniglio – Segretaria

Incontro a Palermo con Stefania Auci per la Giornata della Fondazione

Incontro a Palermo con Stefania Auci per la Giornata della Fondazione

di Maria Lo Presti

Il Serra Club di Palermo, giorno 1 dicembre, per la Giornata della Fondazione BJS, ha incontrato Stefania Auci nella splendida cornice della chiesa del SS. Salvatore. Un pomeriggio letterario con l’autrice dei volumi sulla saga dei Florio, presentando in particolare il secondo volume: L’inverno dei Leoni. Il primo volume, I Leoni di Sicilia, ha avuto uno straordinario successo: più di cento settimane in classifica, in corso di traduzione in 32 paesi.

L’incontro è stato aperto dal saluto di Rosario Scalici, Presidente del club. Quindi, Roberto Tristano, quale Consigliere della Fondazione, ha presentato le finalità della Fondazione stessa in relazione alla realtà del Serra.

Maria Lo Presti, docente della Facoltà Teologica di Sicilia e Vicepresidente del Serra Italia, in qualità di lettrice dei due volumi ha introdotto i libri e avviato una conversazione con l’autrice. Per ogni capitolo vi è una premessa che rimanda alla storia del tempo; poi il racconto è preceduto da una immagine che suggerisce il tono, il clima delle pagine che seguono; quindi, si dispiega il racconto, curato e avvincente.

Stefania Auci, nel rispondere alle domande che le sono state poste, ha mostrato quale grande lavoro di ricerca e documentazione è sotteso all’opera scritta. Molto precisi e puntuali sono stati i riferimenti ai documenti utilizzati nell’ambito della ricerca. Si è anche ricordato che, comunque, si tratta di romanzi, in cui ha un suo spazio il lavoro dell’autore, la sua libertà. Ogni personaggio, durante il lavoro di scrittura, vive intorno allo scrittore e lo interpella, chiede la sua attenzione. In particolare, Stefania Auci fa accostare con garbo a vicende e a personaggi che si possono comprendere e amare – pur se caratterizzati secondo un sentire lontano dal nostro – se collocati nel contesto culturale.

È stato ricordato come la saga dei Florio narrata da Stefania Auci ha rinnovato l’attenzione verso i luoghi che portano i segni della presenza di questa famiglia: dalla tonnara di Favignana al Villino Florio di Palermo. Si registra un rinnovato interesse del turismo – come si verifica per i luoghi delle vicende del commissario Montalbano, il personaggio nato dalla penna di A. Camilleri – e si parla di una serie televisiva.

Durante l’incontro si è anche trattato della lettura, del lettore di oggi, spesso sempre più ‘distratto’ dalla narrativa, ma pur sempre lettore attraverso il web. Un notevole risultato, in tale contesto, è il successo dei libri di Stefania Auci.

Infine, Stefania Auci ha presentato la saga dei Florio in parallelo con la vita di ogni uomo che nasce, cresce e muore: un ciclo vitale inevitabile, ma in cui i Florio emergono come coloro che ‘non sono mai falliti’. Tale espressione, nota, la si può capire conoscendo i dettagli di una vicenda che non si può liquidare in due parole, e va contestualizzata. Comunque, i Florio rimangono un nome che è in memoria cara per chi vive a Palermo e nei luoghi della Sicilia occidentale che portano i segni del loro passaggio.

Vi è stato anche un tempo dedicato ad interventi dei presenti e l’incontro è stato molto gradevole e ha raccolto l’apprezzamento di tutti.

Il ddl Zan: un bilancio critico

Il ddl Zan: un bilancio critico.

di Giuseppe Savagnone

Il 19 novembre nella chiesa della Madonna di Monte Oliveto, presso il Seminario di Palermo, si è svolto l’incontro del Serra Club di Palermo col prof. Giuseppe Savagnone sul tema: Il ddl Zan: un bilancio critico. Il tema dell’incontro era stato concordato dal Direttivo con i seminaristi stessi. Ringraziamo il prof. Savagnone per la disponibilità, la chiarezza dell’esposizione e per averci donato il testo che segue per il sito del Serra Italia. Per un approfondimento del tema, il prof. stesso ci ha indicato un suo testo: Il Gender spiegato a un marziano.

La portata educativa del ddl

Può sorprendere che un ddl, il cui immediato obiettivo era semplicemente di aumentare le pene per reati sostanzialmente già previsti dal nostro Codice, abbia suscitato le violente polemiche di cui siamo stati testimoni in questi ultimi mesi. Il fatto è che la vera posta in gioco non sono mai stati gli anni in più o in meno che un eventuale omofobo violento dovrebbe scontare, ma il carattere fortemente simbolico e pedagogico che la nuova legge avrebbe avuto.

La legislazione di un Paese, infatti, non mira solo a regolamentare singole situazioni, bensì a influenzare la mentalità e il costume, plasmando così il volto di una società e delle persone che vivono in essa. Le norme giuridiche, insomma, in quanto rendono lecito o illecito un certo comportamento, additandolo pubblicamente come espressione di un valore o di un di-valore, hanno anche una funzione educativa.  Aristotele non faceva che dar voce al buon senso quando scriveva che «i legislatori rendono buoni i cittadini creando in loro determinate abitudini» (Etica Nicomachea, 1103 b).

Per questo, a quanti facevano notare che già nel nostro Codice penale è ampiamente assicurata una tutela dei diritti delle persone – inclusi, ovviamente, gli omosessuali – , concludendone che questa nuova normativa era dunque superflua, i sostenitori del ddl Zan hanno sempre replicato che nel nostro ordinamento manca, però, una specifica menzione dei reati legati all’omofobia, che invece è presente  nella legislazione di molti altri Paesi.

In quest’ottica, non basta che gli individui siano tutelati come persone: devono esserlo, esplicitamente, nella loro «identità sessuale» e nei loro «orientamenti sessuali», assunti così come valori riconosciuti dalla collettività e ormai indiscutibili.

Un’esigenza condivisibile

Per questo il ddl non si riduceva – come dicevano i suoi sostenitori – alla tutela di soggetti emarginati e perseguitati per la loro diversità sessuale. Un simile progetto sarebbe stato pienamente condivisibile. La nostra storia passata e presente è piena di «pregiudizi, discriminazioni, violenze» nei confronti di gay, lesbiche, transessuali.  Le persone omosessuali sono state – e spesso sono ancora – derise, umiliate, emarginate, a volte anche perseguitate.  Le si è costrette a nascondersi, a mascherare la loro vera identità e a darle libera espressione solo nell’oscurità di ambienti ambigui e violenti, privandole così del diritto di avere una vita affettiva – non solo sessuale! – come tutti gli altri. E ancora oggi suscita scandalo in tanti la presa di posizione di papa Francesco, quando afferma che «gli omosessuali sono figli di Dio», esattamente come gli etero, portatori come tutti dell’immagine di Dio impressa nei loro volti.

Si capisce allora che alla base del disegno di legge ci fosse  non solo e non tanto la volontà di combattere, assumendoli come  reati formali, comportamenti spregevoli ancora tristemente riscontrabili nella cultura diffusa, ma quella di rivendicare la dignità umana di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. Su questo nessuno, tanto meno i credenti, potrebbe e dovrebbero avere nulla da obiettare.

Solo che, per realizzare questo più che legittimo obiettivo, sarebbe bastato il ddl Scalfarotto (che il testo dell’on.  Zan ha assorbito e sostituito), in cui ci si limitava a rendere simbolicamente più pesanti le pene per i reati «fondati sull’omofobia o sulla transfobia». La novità del nuovo ddl era invece l’introduzione di categorie concettuali proprie delle gender theories, che, se il testo fosse stato approvato, sarebbero state riconosciute e rese vincolanti nel nostro ordinamento giuridico.

Il genere sganciato dal sesso

Quella su cui più acceso è stato il dibattito è espressa nella definizione, contenuta nell’art. 1, dell’«identità di genere»: «Per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione».

Mentre il sesso è costituito da quell’insieme di caratteri biologici e morfologici, inscritto nella corporeità di una persona fin dalla sua nascita, per cui si è maschio oppure femmina, ed è dunque un dato oggettivo, l’«identità di genere» dipende dalla percezione che il soggetto ha di sé anche se questa non corrisponde al sesso. E ciò anche se non ha già «concluso un percorso di transizione», in altri termini, anche se non ha ancora “cambiato sesso” con l’aiuto di interventi chimici o chirurgici.

Ora, che si possa distinguere tra il sesso biologico e la percezione soggettiva della propria «identità di genere» (nella stragrande maggioranza dei casi, peraltro, corrispondente al sesso), è indiscutibile. Non si nasce uomo, come non si nasce donna. La caratterizzazione biologica e morfologica distingue i sessi, trova, però, la sua piena realizzazione quando il maschio e la femmina se ne appropriano attraverso la loro crescita complessiva.

Ma questo non significa che la dimensione fisica sia irrilevante, come pretendono le gender theories nelle loro forme estreme. I corpi, con la loro struttura biologica morfologica, hanno un loro racconto che deve essere ascoltato e non può essere messo tra parentesi, affidandosi solo a una esperienza soggettiva come «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso».

La corporeità non può dunque essere liquidata come un puro insieme di “pezi” e di meccanismi biologici. Essa è strutturalmente umana e meritano di essere rispettata e valorizzata, nella consapevolezza che l’identità sessuale completa di una persona non dipende solo dalla sua struttura corporea, ma anche nella certezza che non può prescindere da essa.

Ora, fissare come normativa, in un testo legislativo, l’«identità di genere», a prescindere dal sesso, significa mettere in secondo piano, in linea di principio, questa dimensione fisica, biologica, corporea, di una persona, per privilegiare unilateralmente la sua percezione soggettiva.

Si ha, ovviamente, il diritto di vedere le cose in questo modo, ma bisogna rendersi conto che questo non è più un dato bensì, per quanto molti si accaniscano a negarlo, una teoria – o, più precisamente, una ideologia -, una ben precisa concezione della sessualità, che, se fatta propria dall’ordinamento, avrebbe creato un precedente, anche al di fuori delle questioni specifiche affrontate nel ddl Zan.

La protesta delle femministe

A evidenziarlo, curiosamente, sono state ben 17 associazioni femministe, tra cui Arcilesbica, che in un loro documento, hanno protestato contro di esso, citando un esempio molto concreto: «In California 261 detenuti che “si identificano” come donne chiedono il trasferimento in carceri femminili».  Con grande allarme, ovviamente, delle donne in senso biologico detenute in queste carceri.

Ma ci sono altri casi che balzano agli occhi. Che succederebbe se un individuo caratterizzato biologicamente come maschio dicesse di “sentirsi” donna e pretendesse, perciò, di essere ammesso nel bagno o nello spogliatoio femminile? Negarglielo non significherebbe discriminarlo, misconoscendo la sua «identità di genere»…?

E, nelle discipline sportive in cui è fondamentale la distinzione tra le gare femminili e quelle maschili, basata sulla differenza di sviluppo muscolare, potrebbe essere ammesso alle prime, come concorrente, un maschio che “si sentisse” donna?

Insomma, una simile visione, secondo le associazioni femministe che l’hanno contestata, non rispetta la peculiarità dell’identità femminile e i suoi spazi propri. Nel loro documento si osserva a questo proposito: «Il “genere” in sostituzione del “sesso” diviene il luogo in cui tutto ciò che è dedicato alle donne può essere occupato dagli uomini che si identificano in “donne” o che dicono di percepirsi “donne”».

Gli effetti sulla famiglia e sull’educazione

Anche senza arrivare a queste ipotesi estreme, una legge in cui si fosse sancita solennemente la perfetta “normalità” e la piena equiparazione dei comportamenti transessuali e omosessuali a quelli eterosessuali avrebbe avuto una immediata ricaduta sull’immagine condivisa della famiglia, prima ancora che sul suo regime giuridico.  A cominciare dall’estensione alle coppie gay o lesbiche del diritto morale di avere dei figli con tutti i mezzi a disposizione, magari ricorrendo a quello, squallido, dell’utero in affitto, già purtroppo utilizzato anche da qualche coppia etero, e che per quelle gay sarebbe stato l’unico possibile.

Ma gli effetti più dirompenti di questa “rivoluzione culturale” sarebbero stati a livello educativo. Nell’art. 6, del ddl si prevedeva l’istituzione di una “Giornata nazionale contro l’omofobia” – che sarebbe stata celebrata il 17 maggio – in cui sarebbero state organizzate «cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile, anche da parte delle amministrazioni pubbliche e nelle scuole».

Quale messaggio sarebbe stato proposto in questa occasione e in tutte le alte che indubbiamente, all’ombra di quella, si sarebbero moltiplicate? Per saperlo, basta andare a vedere i tentativi già fatti in un recente passato per far entrare le gender theories nel nostro sistema educativo.

Alcuni anni fa, su commissione di un ufficio governativo, l’UNAR, l’Istituto Beck ha elaborato, con la collaborazione delle associazioni LGBT,  tre opuscoli – uno per ogni diverso livello di scuola – con l’unico titolo Educare alla diversità nella scuola, destinati ad essere distribuiti a tutti gli insegnanti (in realtà la distribuzione fu poi bloccata nell’aprile del 2014, da una decisione del Miur, dopo che il quotidiano dei vescovi «Avvenire» aveva denunciato la problematicità del loro contenuto). Lo scopo era di combattere ogni forma di discriminazione dei “diversi”, con particolare riferimento all’aspetto sessuale.

Proprio in questa polarità veniva infatti individuata la matrice della violenza. Da qui la necessità di superarla: «Nella società occidentale si dà per scontato che l’orientamento sessuale sia eterosessuale.  La famiglia, la scuola, le principali istituzioni della società, gli amici si aspettano, incoraggiano e facilitano in mille modi, diretti e indiretti, un orientamento eterosessuale.  A un bambino è chiaro da subito che, se è maschio, dovrà innamorarsi di una principessa e, se è femmina, di un principe. Non gli sono permesse fiabe con identificazioni diverse» (Istituto Beck, Educare alla diversità a scuola. Scuola primaria, p.3).

Per rimediare a questa situazione, negli opuscoli in questione si raccomandava agli insegnanti, fin dalla scuola primaria,  di «non assegnare attività diverse a seconda del sesso biologico, di «non usare analogie che facciano riferimento a una prospettiva eteronormativa (cioè che assuma che l’eterosessualità sia l’orientamento “normale”, invece che uno dei possibili orientamenti sessuali)» di far capire ai bambini/ragazzi/adolescenti che  «i rapporti sessuali omosessuali sono naturali», equiparandoli sistematicamente a quelli etero: «Quindi potremmo ribaltare la domanda chiedendoci: “i rapporti sessuali eterosessuali sono naturali?”» (ivi, p.23). Si chiedeva inoltre di far sempre riferimento, nell’attività didattica, alla famiglia gay, perfino nel proporre di problemi di matematica. Per esempio: “Rosa e i suoi papà hanno comprato tre lattine di tè freddo al bar. Se ogni lattina costa 2 euro, quanto hanno speso?”» (ivi, p.6).

Si tratta di una linea che per superare l’innegabile proliferare della violenza nei confronti dei “diversi”, piuttosto che educare al rispetto della diversità, punta sulla sua neutralizzazione, promuovendo l’idea che la polarità sessuale maschio-femmina è irrilevante. Da qui l’impegno sistematico, sul piano educativo, a sganciare l’«identità di genere» dalla corporeità, affidandola alla esperienza soggettiva di singoli.

Dal punto di vista pedagogico ci si potrebbe chiedere se sia opportuno caricare di un simile problema personalità ancora molto acerbe (si comincerebbe fin dalla scuola primaria), in una fase della vita in cui l’identità sessuale ha ancora bisogno di definirsi e il riferimento alla propria caratterizzazione sessuale in senso biologico è molto importante.

Ma, più in generale, si tratterebbe di una “rivoluzione culturale”, a cui la codificazione giuridica della «identità di genere» contenuta nel ddl Zan darebbe la sua copertura, senza che questo concetto sia stato mai veramente discusso e accettato democraticamente. Giusta o sbagliata che sia questa concezione della persona e della sessualità, non si rischia di introdurre, così, surrettiziamente, un’ideologia di Stato, contro le logiche di una società veramente pluralista?

Tanto più che si voleva che questo messaggio giungesse non solo agli studenti della scuola secondaria, maggiormente in grado di valutarlo criticamente, ma a quelli di ogni orine e grado, fin dalle elementari, come dimostra che,  nel dibattito alla Camera sul ddl Zan è stato espressamente respinto un emendamento che chiedeva fosse introdotta, per i più piccoli, la condizione del consenso dei genitori.

Il problema della libertà di pensiero e di espressione

Un punto su ci molto si è discusso – e su cui si è avuto anche un diretto intervento della Santa Sede, è quello della libertà di pensiero e di esperssione. Nel ddl Zan si prevede un aggravio di pena per chi «istiga a commettere o commette atti di discriminazione» nei confronti di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. Ora, come ha fatto notare il card. Parolin, spiegando l’opposizone della Segretreria di Stato vaticana, «il concetto di discriminazione resta di contenuto troppo vago. In assenza di una specificazione adeguata corre il rischio di mettere insieme le condotte più diverse e rendere pertanto punibile ogni possibile distinzione tra uomo e donna, con delle conseguenze che possono rivelarsi paradossali e che a nostro avviso vanno evitate, finché si è in tempo».

Basta, del resto, cercare nel vocabolario «Trecccani»:  il significato di “discriminare” è «distinguere, separare, fare una differenza». Ora, è chiaro che chi – come la Chiesa cattolica, ma non solo – non condivide l’equiparazione piena tra i rapporti eterosessuali e quelli omosessuali, sta ponendo per ciò stesso  una differenza, una discriminazione tra i primi e i secondi. Rientra per questo nella fattispecie criminale prevista dal ddl?

E’ vero che, per rispondere a queste preoccupazioni era stato inserito appositamente nel testo l’articolo 4, che esclude dalla punibilità «la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte». Ma anche questa precisazione contiene, alla fine, una postilla non insignificante: «purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti».

Mettendo da parte l’ipotesi estrema della violenza, un giudice non avrebbe potuto considerare una omelia, una catechesi in cui si ricordi a tutti i fedeli che quello tra uomo e donna è l’unico “vero” matrimonio, come manifestazioni di pensiero «idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori»?

Quand’è che la discriminazione – il “fare la differenza” – tra eterosessualità e omosessualità è l’implicazione di una visione dell’essere umano, del corpo, della sessualità, pur nel pieno rispetto delle persone, e quando invece comporta il proseguimento di una secolare, triste tendenza, ancora molto diffusa, a insultare, umiliare, perseguitare, emarginare chi è “diverso”? Questo il ddl Zan non lo precisa.

Qualcuno dirà che già ammettere una diversità è una forma di emarginazione. Non è vero. È proprio questo l’equivoco delle gender theories, quando puntano a “decostruire”, o comunque a minimizzare, la differenza sessuale inscritta nella biologia e nella morfologia dei nostri corpi, considerandola automaticamente fonte di ingiustizia e di violenza. Non è vero che si può rispettare l’altro solo se si elimina la sua diversità.  Al contrario, il vero rispetto nasce proprio dall’accettazione delle differenze. La reazione contro l’“omofobia” non può giustificare una altrettanto disastrosa “eterofobia”, che purtroppo corrisponde alle tendenze omologanti della nostra società.

Una gestione infelice da entrambe le parti

Che alla fine il ddl Zan non sia diventato legge, alla luce di queste osservazioni, è senz’altro positivo. Ma questo esito è stato ottenuto a prezzo di profonde lacerazioni e della negazione anche degli aspetti condivisibili che il testo presentava.

Il fato è che la gestione “politica” di queste legittime esigenze, da entrambe le parti in conflitto, ha lasciato molto a desiderare e ha impedito di mettere a fuoco i punti su cui una convergenza era possibile. A lungo la posizione della Cei è stata del tutto negativa verso il ddl legge Zan, bollato in blocco come superfluo e liberticida.  Non si sono colte le esigenze in sé giuste che esso rappresentava e non si è fatto lo sforzo per distinguerle dalle formulazioni sbagliate.

Solo in extremis – quando ormai era chiaro che il testo stava per diventare legge – in una battuta con i giornalisti il card. Bassetti ha precisato che l’intento dei vescovi non era di affossare il testo, ma di modificarlo. Come del resto oggi ribadisce la Santa Sede, che però è intervenuta troppo tardi per avviare un dialogo costruttivo e si è attirata, con il suo passo, accuse di ingerenza del tutto infondate (qui si tratta del rispetto di un accordo tra due Stati e del legittimo confronto tra essi quando nascono dei problemi), ma accolte in blocco da un’opinione pubblica poco abituata (ancora una volta) a fare distinzioni.

Dal lato del Parlamento si è lasciato che gli equivoci del ddl permanessero, dando spazio alle fazioni che vedono nella battaglia sulle questioni etiche un modo per smantellare la tradizione etica del nostro Paese. Particolarmente assordante il silenzio dei deputati e senatori cattolici disseminati sia a destra che a sinistra, con la sola eccezione – purtroppo sospetta – di quelli che da tempo cercano di accaparrarsi l’elettorato cattolico, ostentando ad ogni occasione una ispirazione evangelica su cui il loro programma complessivo suscita almeno dei legittimi dubbi.

Solo alla vigilia del voto che poi ha silurato il ddl – anche qui, dunque, con evidente ritardo – il segretario del Pd Letta ha avanzato una cauta apertura a eventuali modifiche (peraltro suscitando l’immediata protesta delle associazioni LGBT).

Non resta che sperare che in futuro – perché il problema si ripresenterà, prima o poi – ci sia maggiore saggezza da parte di tutti, per arrivare a una soluzione legislativa che a un lato difenda la dignità delle persone, senza fare entrare nel nostro ordinamento una ideologia di cui abbiamo cercato di mostrare gli errori.

 

Club di Palermo. Impegni di novembre.

Pubblichiamo la lettera del Presidente del Club di Palermo, Dott. Rosario Scalici, relativa ad alcune importanti comunicazioni ed avvisi riguardanti anche i prossimi incontri.

 

 

Club di Palermo. Impegni di fine anno sociale.

Carissime amiche e carissimi amici del Serra Club di Palermo,

l’anno Serrano 2020-2021 volge ormai al termine. E’ stato un anno fortemente condizionato dall’emergenza sanitaria che ci ha costretti a rinunziare alle riunioni in presenza ed ai momenti conviviali. Ma non ci siamo fermati: abbiamo continuato a incontrarci con gioia in occasione delle Celebrazioni Eucaristiche che il nostro Arcivescovo ed il Rettore del Seminario hanno presieduto per noi ed inoltre abbiamo organizzato in videoconferenza diversi incontri di arricchimento culturale e spirituale e tutto questo ci ha consentito di rimanere uniti tra di noi e vicini alla Comunità del Seminario alla quale, pure nei momenti più difficili, abbiamo cercato di non fare mai mancare il nostro affetto ed il nostro concreto sostegno. ... Continua a leggere

 

 

Club di Palermo. Impegni per maggio 2021.

Carissime amiche e carissimi amici del Serra Club di Palermo,

anche in questi tempi segnati dalla pandemia, l’annuncio della Resurrezione ha vivificato la nostra Fede e riempito di gioia i nostri cuori.

In occasione di questa Santa Pasqua una gioia in più l’ha donata a noi Serrani palermitani una affettuosa lettera con la quale Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Paolo Romeo, Arcivescovo emerito di Palermo, ha voluto farci sapere che “accompagna con il pensiero e con la preghiera le varie lodevoli iniziative” del nostro Club e che augura a tutti noi “che la luce che si sprigiona dal costato squarciato del Cristo Risorto sia sorgente di nuova vita e fonte di ogni grazia”. Siamo particolarmente lieti e profondamente grati di questo affettuoso pensiero di Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Paolo Romeo che, con la stessa paterna benevolenza con la quale è stato costantemente vicino al nostro Club negli anni del Suo Alto Ministero palermitano, continua sempre a sostenerci con la Sua autorevole attenzione per le nostre attività.

In prossimità della Santa Pasqua abbiamo ricevuto un’affettuosa lettera anche da parte della Comunità del Seminario e ne ho dato lettura a quelli di Voi che erano presenti alla Celebrazione Eucaristica del 26 marzo. E’ una lettera molto bella che prende spunto dalla nostra recente donazione dei libri necessari alla formazione dei Seminaristi per ringraziare calorosamente tutti i Serrani della “generosità e vicinanza e del continuo sostegno” nei confronti del Seminario. La lettera, che inizia con il versetto dell’Evangelista Matteo “il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,3), prosegue sottolineando l’importanza della presenza e dell’attività del Serra Club di Palermo perché è “particolarmente necessario che tutto il Popolo Santo di Dio si renda protagonista in prima persona della formazione e della crescita dei futuri pastori” ed in conclusione esprime “una riconoscenza che si trasforma in preghiera per ciascuno di noi, per le nostre famiglie e per le nostre comunità”.

Peraltro in questo tempo di Pasqua numerosi sono stati i segni della Grazia perché tanti giovani del nostro Seminario sono andati avanti nel loro cammino vocazionale: a Castelvetrano il 10 aprile Daniele La Porta ha ricevuto il Ministero del Lettorato e l’11 aprile Erasmo Barresi è stato ammesso tra i candidati all’Ordine Sacro; ed ancora a Trapani il 25 aprile Antonino Castelli e Matteo Peralta hanno ricevuto, rispettivamente, il Ministero del Lettorato ed il Ministero dell’Accolitato. Come sempre abbiamo accompagnato con le nostre preghiere tutte queste importanti tappe del percorso di Fede dei nostri Seminaristi, anche se, purtroppo, le limitazioni imposte dalla perdurante emergenza sanitaria ci hanno impedito di essere presenti alle Celebrazioni.

Un’altra bella notizia è che la nostra Socia e past-Presidente, nonché attuale Governatrice del Distretto Serra 77, la prof.ssa Mariuccia Lo Presti, ci ha dato la sua affettuosa disponibilità a parlarci sul tema “Giuseppe uomo giusto (Mt. 1-2)”. Siamo particolarmente grati alla nostra Mariuccia, della quale tutti conosciamo ed apprezziamo le qualità personali ed accademiche, perché ci offrirà l’interessante opportunità di riflettere sulla figura di San Giuseppe proprio nell’anno che Sua Santità Papa Francesco ha voluto dedicare a questo grande Santo che è modello di rettitudine, di modestia e di accoglienza con fiducia e coraggio della volontà di Dio. A causa del protrarsi delle limitazioni e delle incertezze causate dalla pandemia, dovremo ascoltare questa bella relazione in videoconferenza e quindi ci incontreremo “virtualmente” venerdì 14 maggio alle ore 18,30 collegandoci ciascuno da casa propria con il proprio computer: in prossimità del momento dell’incontro riceverete per E-mail e per WhatsApp le indicazioni per il collegamento alla videoconferenza.

Con l’occasione mi fa piacere richiamare ancora una volta la Vostra attenzione sulla Fondazione Serra e sull’importante funzione di sostegno alle vocazioni che svolge in tutta Italia mediante, tra l’altro, l’erogazione di Borse di Studio a favore di Seminaristi che necessitano di sostegno. La Fondazione opera avvalendosi dei fondi del “5×1000” e quindi, in questo periodo di adempimenti fiscali, esorto tutti ad inserire nella prossima dichiarazione dei redditi nello spazio dedicato alla destinazione del “5×1000” il codice fiscale della Fondazione Italiana di Religione Beato Junipero Serra: codice fiscale 95018870105.

E’ una scelta che non ci costa nulla e che ci consente di contribuire concretamente al sostegno che la Fondazione offre ai Seminaristi ed ai Seminari come quello di Palermo.

OMISSIS

Con i più affettuosi saluti

Roberto Tristano

 

 

Club di Palermo. Impegni per marzo 2021.

Carissime amiche e carissimi amici del Serra Club di Palermo,

ci avviamo a trascorrere un’altra Santa Pasqua in tempo di pandemia. E’ trascorso un anno  dall’inizio dell’emergenza sanitaria e, nonostante l’avvio delle vaccinazioni, la diffusione  del contagio non appare ancora pienamente sotto controllo. 

In questa situazione, nell’attesa che il procedere delle vaccinazioni produca gli effetti  sperati, dobbiamo ovviamente continuare a rispettare tutte le cautele e le limitazioni previste  dalle normative di contenimento del contagio e quindi per la nostra consueta preparazione  alla Santa Pasqua abbiamo preferito organizzare un incontro di preghiera in un ambiente non  aperto al pubblico che sia riservato a noi Serrani, ai nostri familiari ed agli amici che  vorremo invitare, in modo da riunirci in sicurezza e tranquillità. 

Ci incontreremo quindi venerdì 26 marzo alle ore 18,30 nella Cappella del  Seminario (Chiesa di S. Maria di Monte Oliveto in via Incoronazione n. 1) per una  Celebrazione Eucaristica nel corso della quale ascolteremo in preparazione della Santa  Pasqua le riflessioni di Mons. Silvio Sgrò, Rettore del Seminario Arcivescovile di  Palermo. Sarà un bel momento di preghiera e, con l’occasione, daremo il benvenuto nel  nostro Club al nuovo Socio Armando Speciale al quale consegneremo ufficialmente il  distintivo. 

Per chi volesse posteggiare l’auto ovviando alle limitazioni della ZTL il Rettore mette  affettuosamente a disposizione il cortile interno del Seminario accessibile dal cancello sul  retro (via Matteo Bonello). 

Con l’occasione ho il piacere di comunicarVi che, come preannunciato nella precedente  circolare, nelle scorse settimane abbiamo completato la consegna dei premi del nostro  Concorso Scolastico 2019/2020. Il protrarsi dell’emergenza sanitaria ha reso impossibile la  tradizionale cerimonia pubblica di premiazione collettiva, già prevista per l’anno scorso, e  quindi abbiamo dovuto recarci presso le singole scuole per consegnare individualmente i  premi agli studenti selezionati. Su espressa richiesta dei Dirigenti Scolastici è stato  necessario limitare le presenze a quelle strettamente necessarie, in modo da ridurre i rischi di  contagio, ma abbiamo avuto in ogni scuola un pubblico attento ed abbiamo riscontrato  simpatia ed apprezzamento per l’attività del Serra.

Nelle scorse settimane sono state consegnate pure le Borse di Studio che la Fondazione  Italiana di Religione Junipero Serra ha recentemente assegnato a due Seminaristi del  Seminario di Palermo. Negli ultimi anni la Fondazione ha sempre accolto le domande di  Borse di Studio proposte dal nostro Club e dal nostro Distretto a favore di Seminaristi  palermitani ed è davvero consistente il numero e l’importo complessivo di queste Borse. A  riguardo desidero evidenziare che le disponibilità finanziarie della Fondazione sono alimentate esclusivamente da donazioni volontarie e dai fondi del “5×1000” e quindi esorto tutti ad inserire nella prossima dichiarazione dei redditi nello spazio dedicato alla  destinazione del “5×1000” il codice fiscale della Fondazione Italiana di Religione Beato  Junipero Serra

codice fiscale 95018870105 

Sarà un modo per contribuire concretamente al sostegno che la Fondazione offre ai  Seminaristi ed ai Seminari come quello di Palermo. 

Ricordo infine ai pochissimi che non hanno ancora provveduto che sono in riscossione  le quote associative per il corrente anno 2020/2021: solo il regolare pagamento delle quote consente al nostro Club di offrire un concreto sostegno al Seminario ed ai Seminaristi i cui bisogni, in questo difficile tempo di pandemia, sono aumentati. 

La quota annuale è sempre di euro 350,00 e – in questo momento di emergenza sanitaria  che rende difficile incontrarsi – potrà essere versata con bonifico bancario sul conto corrente  intestato al Serra Club di Palermo presso l’Agenzia 15 di Palermo del CREVAL – Credito  Siciliano (IBAN: IT 92 B 05216 04616 0000 0000 2067). 

Chi preferisse pagare comunque in contanti o con assegno potrà contattarmi per concordare come provvedere. 

Desidero concludere questa lettera, che porta la data dell’8 marzo, con un pensiero alla  più Santa tra le donne, la Beata Vergine Maria, alla cui intercessione voglio affidare noi del  Serra Club di Palermo – donne ed uomini – e tutti i nostri cari.

Con i più affettuosi saluti,

Roberto Tristano